Pubblicato il: 27/08/2019 15:17
Gli incendi estesi in Amazzonia, come quelli in Siberia e in Alaska, sono “una importante sorgente di sostanze inquinanti e climalteranti”. Con effetti, dunque, sulla qualità dell’aria e sul clima che si possono estendere anche sulle lunghe distanze e nel tempo. Paolo Cristofanelli, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Isac-Cnr), spiega all’Adnkronos le conseguenze legate alla combustione di porzioni così estese di foreste come quella cui stiamo assistendo questa estate in diverse parti del globo.
“Quando si sviluppano dei fuochi di foreste, o relativi a zone agricole, vengono emessi in atmosfera diversi composti legati alla combustione, sia gas che particelle. Alcune particelle si possono anche produrre successivamente – spiega Cristofanelli – Quindi abbiamo un problema per la qualità dell’aria, perché alcuni di questi composti sono inquinanti e hanno effetti diretti sulla salute umana e sugli ecosistemi, e possiamo avere un effetto legato al clima perché una parte di questi composti è climalterante e può influenzare il clima a livello regionale e globale quando l’area coinvolta è molto ampia”.
Come sta avvenendo in questi giorni in Amazzonia. “Guardando lo storico degli incendi che tipicamente si sviluppano nella regione amazzonica in questo periodo, si tratta di eventi che accadono praticamente tutti gli anni. Effettivamente, però, sembra che quest’anno sia uno dei più rilevanti, almeno a partire dal 2003, ovviamente questi sono dati preliminari che andranno verificati successivamente”, chiarisce.
“Una cosa simile – continua – si è verificata nelle aree boreali, nelle zone artiche come Alaska e Siberia, caratterizzate quest’anno da un numero di incendi estremante elevato rispetto agli anni precedenti”.
Quanto agli effetti a breve e lungo termine, “tutto dipende da quanto questi composti emessi rimangono in atmosfera: quelli che hanno tempi di vita più lunghi possono essere anche trasportati su lunga distanza, quelli che hanno tempi di vita in atmosfera più brevi interessano principalmente le zone sotto vento rispetto all’emissione”.
“Dal punto di vista della qualità dell’aria i composti che destano maggiore interesse sono il particolato fine e, se le condizioni meteorologiche sono favorevoli, la produzione fotochimica di ozono in seguito al rilascio di precursori dell’ozono, una sostanza che è sia un inquinante, che ha effetti nocivi su popolazione ed ecosistemi, ed è anche climalterante – continua – Entrambi hanno tipicamente un tempo di vita di qualche giorno, l’ozono se trasportato nella parte più alta può persistere per poche settimane e quindi può essere trasportato su lunga distanza”.
In generale, “dipende molto dalle condizioni meteorologiche”. Per quanto riguarda, ad esempio, il particolato fine, per il quale “uno dei principali processi con cui viene rimosso dall’atmosfera è la precipitazione”, dal momento che “in Amazzonia è la stagione secca evidentemente la possibilità che rimanga in atmosfera più lungo e si possa diffondere su scala più ampia è maggiore”.
“Diverso il discorso della CO2 che è un composto fortemente emesso dalle combustione e in particolare dagli incendi e che ha tempi di vita molto più lunghi, di decine di anni in atmosfera, e può essere diffuso a livello globale”, spiega Cristofanelli.
Insomma, anche se “le conseguenze si valuteranno bene nei prossimi mesi” gli incendi di questa estate in diverse zone del Pianeta “rappresentano una fonte ulteriore di emissioni di CO2”.
D’altro canto “è consolidato il fatto che per diminuire l’effetto antropico sul clima noi dobbiamo diminuire le emissioni globali di CO2 e questi fenomeni rappresentano, invece, un tassello che va ad aumentare ancora la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera – prosegue l’esperto – Per quanto riguarda i fuochi in Alaska e Siberia, per esempio, è stato stimato (dal Servizio di Monitoraggio Atmosferico-Cams del programma Europeo Copernicus) che le emissioni di CO2 correlate a questi eventi possono essere confrontabili alle emissioni antropiche di un Paese, per esempio l’Alaska o la Svezia”.
E non è finita qui. Perché negli incendi boschivi “vengono emesse anche altre sostanze climalteranti, fra cui: metano, protossido di azoto, il composto CH3Cl, cioè il metil-cloruro con effetto serra molto più elevato della singola molecola di CO2: quindi gli incendi rappresentano una importante sorgente di sostanze inquinanti e climalteranti”, conclude.
Adnkronos.