Pubblicato il: 16/06/2020 13:18
Nei mari è emergenza plastica e le tartarughe marine sono certamente tra le specie maggiormente soggette a intrappolamento e ingestione di questo tanto discusso materiale. A lanciare l’allarme proprio in occasione della giornata mondiale delle tartarughe è il Wwf sul Mediterraneo avverte: essendo un mare chiuso, le correnti fanno tornare sulle coste l’80% dei rifiuti di plastica. Risultato? per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 chilogrammi al giorno.
L’Europa è il secondo produttore mondiale di plastica. Segno che, in molti casi, non viene smaltita in modo corretto o efficace è che ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mar Mediterraneo: l’equivalente di 4,7 miliardi di posate di plastica monouso ogni giorno (ossia 3.600 al secondo). Le attività costiere sono responsabili della metà della plastica che si riversa nel Mar Mediterraneo, mentre il 30% arriva da terra trasportato dai fiumi. La percentuale rimanente dell’inquinamento da plastica deriva da attività marine.
Dalla Fossa delle Marianne, all’Everest, ai ghiacciai dei poli, frammenti più o meno grandi di plastica sono stati trovati praticamente ovunque, anche nel plancton, nei crostacei, nei molluschi, nei pesci, nei mammiferi marini. Plastiche e microplastiche rappresentano dal 70% al 90% dei rifiuti in mare in funzione della regione oceanica. Secondo le stime più recenti oggi negli oceani del Pianeta sono presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica: ogni anno ne riversiamo oltre 8 milioni di tonnellate.
Secondo l’Unep, il 15% dei rifiuti in mare galleggia in superficie, un altro 15% rimane nella colonna d’acqua sottostante e il restante 70% si deposita sui fondali. Senza un rapido ed efficace cambio di paradigma entro 2050 ci sarà, in peso, più plastica che pesce e le tartarughe marine sono certamente tra le specie più a rischio a causa di questo materiale. Nel Mediterraneo possiamo ritrovare 3 delle 7 specie di tartarughe marine presenti nel mondo, la tartaruga verde Chelonia mydas, la tartaruga liuto Dermochelys coriacea e la tartaruga comune Caretta caretta, quest’ultima è la più comune e l’unica che nidifica lungo le nostre coste.
I principali pericoli per la sopravvivenza delle specie di tartarughe marine presenti nel mar Mediterraneo risultano essere legati all’attività antropica: pesca, turismo intensivo, contaminazione e intrappolamento nei rifiuti. L’esistenza di questi animali fatta eccezione per la nascita e la deposizione delle uova, si svolge completamente in mare aperto: una tartaruga marina passa il 96% del proprio tempo sott’acqua e in acqua si nutre. Considerando che ogni minuto l’equivalente di un camion pieno di rifiuti in plastica finisce nei mari del Pianeta, possiamo dire con certezza che la trappola della plastica è molto insidiosa per le tartarughe. Uno studio ha rilevato che l’80% delle tartarughe Caretta caretta del Mediterraneo ha ingerito rifiuti di plastica.
Fino ad oggi si pensava che l’attrazione delle tartarughe per la plastica, in particolare per i sacchetti, fosse dovuta alla loro somiglianza alle meduse, preda preferita di molte specie. Tuttavia, sono state trovate tartarughe intrappolate o che avevano ingerito altri oggetti che non assomigliano affatto a meduse il che sottendeva altre ragioni. Una ricerca recentissima pubblicata su Current Biology propone una teoria diversa: a ingannare le tartarughe sarebbe l’odore della plastica. Questo perché i rifiuti plastici alla deriva nell’oceano possono essere ricoperti da un microfilm di batteri, alghe e piccoli invertebrati, che producono un odore apparentemente gradito dalle tartarughe.
Questo potrebbe attirarle in una trappola olfattiva, con conseguenze a volte fatali. Per quelle tartarughe che non si lasciano ingannare, il problema è un altro ancora: anche le meduse ingeriscono plastica. Nella Pelagia noctiluca, la medusa più abbondante nel mar Mediterraneo, è stata trovata plastica. Le meduse costituiscono un target “inaspettato” della plastica in mare e la loro contaminazione, con frammenti della grandezza superiore a un centimetro, pone ulteriori preoccupazioni per la dieta delle tartarughe.
L’ingestione di plastica è associata sia a danni fisici, come blocco intestinale, riduzione delle riserve energetiche e della fame, sia alla potenziale tossicità dovuta a sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche presenti nella plastica stessa (ftalati e ritardanti di fiamma) o adsorbite sulla superficie stessa della plastica.
E se non bastasse quella in mare, la presenza di plastica sulle spiagge può compromettere le nidificazioni: la sabbia in cui la tartaruga depone le uova, in presenza di frammenti di questo tipo non mantiene la stessa umidità e modifica la temperatura, con ripercussioni sullo sviluppo e la schiusa.
L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 mette tutti davanti ad una nuova assunzione di responsabilità: è fondamentale evitare di disperdere in natura mascherine, guanti monouso o altri dispositivi dopo che li abbiamo usati. I dispositivi di protezione individuale e altri strumenti sanitari (come mascherine, guanti, salviettine e monodose di disinfettante), infatti, sono prodotti o confezionati con la plastica.
Secondo le stime del Politecnico di Torino, l’ltalia avrà bisogno di 1 miliardo di mascherine e mezzo miliardo di guanti al mese e, secondo una stima del Wwf, se solo l’1% delle mascherine venisse smaltito in modo errato e disperso in natura, ciò comporterebbe l’inquinamento ambientale di ben 10 milioni di mascherine e conseguenti 40 tonnellate di plastica al mese.
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