Se a tavola vi arrivassero gli animali vivi e in forma, pronti per essere macellati, scegliereste lo stesso di mangiarli? Li comprereste ugualmente? L’80\90% della carne del mondo proviene da allevamenti industriali. Se ne parla al Salone del Gusto
Parliamo ancora di Salone del gusto, di alimentazione, di cibo sano e buone pratiche di consumo. Oggi nella sezione Slow Meat, interamente dedicata alla carne e al grande marasma di contraddizioni che la sua produzione genera, si è tenuta una conferenza che ha visto la partecipazione di allevatori, medici veterinari, membri di associazioni e organizzazioni no profit. Agroecologia è la parola chiave del dibattito, un approccio ecologico all’agricoltura e all’allevamento che tenga conto di tutto il sistema vivente, non solo del profitto. Le popolazioni indigene praticano agroecologia da millenni senza aver studiato nulla in merito, perchè utilizzano un metodo istintivo che tiene conto dell’ecosistema nei suoi molteplici aspetti.
In particolare “le popolazioni dell’America Latina, spiega Rolando Marzano che alleva Lama e Alpaca, vedono i propri animali d’allevamento come parte integrante della comunità, dato che sono animali d’importanza fondamentale. La relazione tra un pastore e il suo animale è vitale per la sopravvivenza della comunità. Nel caso di Lama e Alpaca bisogna considerare anche la particolare anatomia di questi singolari animali, perchè i cuscinetti delle loro zampe sono conformati in modo tale da fare bene al suolo. Infatti nel contatto con la terra, grazie all’azione delle zampe sul suolo, il terreno si fortifica e riceve grande giovamento dal fatto di essere calpestato da specie autoctone e con simili caratteristiche. Come si può facilmente dedurre, le caratteristiche anatomiche di lama e alpaca fanno si che le caratteristiche morfologiche del territorio vengano conservate, dimostrando la naturale corrispondenza tra specie autoctone e habitat.”
“Il tema della carne è scottante di questi tempi” dichiara Piero Sardo, Presidente della commissione Slow Food per la biodiversità. Piero Sardo cita il racconto di un romanzo di Douglas Adams dal titolo “Ristorante al termine dell’universo”, nel quale degli avventurosi viaggiatori cosmici capitano ai confini del cosmo in un ristorante bizzarro. I viandanti vengono accolti da una mucca parlante che, con fare disinvolto e un po’ cinico si propone ai clienti come possibile pasto, presentandosi e dichiarando di essere stata allevata nel migliore dei modi proprio per offrire il miglior pranzo a chi lo desiderasse. Questo aneddoto ci induce a porci un quesito: Se vi arrivassero a tavola gli animali vivi, pronti per essere massacrati di lì a poco, scegliereste comunque di mangiarli? Li comprereste?”
Certo che è più facile acquistare un pacchettino anonimo privo di vita il cui background è ben occultato. Occhio non vede cuore non duole, ma ciò che duole è “l’abominio di luoghi come i macelli che sono paragonabili a dei moderni campi di concentramento, un’olocausto quotidiano verso delle creature che sono senzienti e sensibili” prosegue Sardo. “La questione della qualità della carne è più che vera, nel senso che c’è chi alleva bestie responsabilmente e dignitosamente pone fine alla loro esistenza. Ma a mio parere ciò non risolve il problema originario che consiste nella questione etica nei confronti di queste creature che sono sottoposte a sofferenze inaudite. Se li ammazzassimo davanti a noi, non li mangeremmo. Se riuscissimo a far si che i macelli non fossero solo luoghi di sterminio sarebbe già un grande passo avanti.” Del resto non dimentichiamoci che siamo nell’Antropocene e che il dominio sugli animali è espressione del nostro momento storico.
In tempi antichi l’uccisione di animali acquisiva un significato notevolmente diverso, concepita come pratica più sacra e rituale che non routine quotidiana. La carne era un alimento cerimoniale, la cui condivisione fungeva per certi versi anche da collante sociale. Oggi quella consapevolezza è andata perduta e nell’Occidente del mondo il consumo di carne non è legato al concetto di sacrificio, è un consumo non equo che crea competizione e distruzione. Teniamo conto che l’80\90% della carne e dei suoi derivati nel mondo proviene da allevamenti industriali.
Caroline McCann, consigliera Slow Food International afferma che “Il modello industriale di produzione di carne è un modello criminale, perchè agisce contro natura e non con. Nel giro di qualche generazione parlare di consumo di carne sarà veramente obsoleto perchè ci stiamo via via rendendo conto che si può vivere tranquillamente senza mangiarla e non solo, si può vivere meglio.”