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Energia: sussidi alle fonti fossili in Italia, 18,8 mld nel 2017  

Sussidi alle fonti fossili in Italia, 18,8 mld di euro nel 2017

In un anno in Italia sono stati destinati circa 18,8 i miliardi di euro al settore delle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi. E quanto emerge dal dossier ‘Stop Sussidi alle fonti fossili’ realizzato da Legambiente sulle risorse pubbliche spese a sostegno di petrolio e gas. L’Agenzia internazionale dell’energia stima in almeno 300 miliardi di dollari il valore complessivo dei sussidi alle fonti fossili nel 2017, una cifra cresciuta di 30 milioni di dollari rispetto al 2016.

Il 45% del totale è andato a sostegno del petrolio, quasi 137 miliardi di dollari; il 23% al gas, circa 57 miliardi di dollari; 2 miliardi di euro al carbone. In Italia, con la pubblicazione del ministero dell’Ambiente nel 2016 del Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli, i sussidi alle fonti fossili sono entrati nella rendicontazione nazionale; il catalogo, però, sottolinea Legambiente, è fermo al 2017 nonostante ne sia stato previsto l’aggiornamento entro il 30 giugno di ogni anno.

Per questo, Legambiente chiede l’aggiornamento del catalogo dei sussidi e l’inserimento della road map per la cancellazione entro il 2025 dei sussidi alle fonti fossili nel Piano Energia e Clima. Secondo l’analisi dell’associazione ambientalista, oltre 14,3 miliardi di euro all’anno di sussidi alle fonti fossili sono eliminabili in parte subito e del tutto entro il 2025, mentre 4,5 miliardi di euro possono essere rimodulati, nello stesso settore o in altri, ma in modo da spingere l’innovazione e ridurre le emissioni.

Secondo la responsabile Energia di Legambiente, Katiuscia Eroe, “è davvero ipocrita e inaccettabile continuare a trasferire ogni anno miliardi di euro a sostegno di petrolio, gas e carbone quando il mondo intero, Italia compresa, soffrono già gli impatti di alluvioni, siccità e ondate di calore”.

Le fonti rinnovabili, sottolinea Eroe, “sono sempre più competitive: basterebbe eliminare questi sussidi per sostituire centrali inquinanti con impianti puliti. Già con la legge di stabilità 2019 si potrebbero avere risorse da investire per incrementare i fondi necessari al funzionamento del Servizio Sanitario nazionale, per l’Università e la Scuola, per i pendolari attraverso il fondo trasporti, per la messa in sicurezza e l’adattamento dei territori ai cambiamenti climatici”.

Con una attenta programmazione, aggiunge la responsabile Energia di Legambiente, “si potrebbe arrivare a 14 miliardi di euro all’anno nel 2025. E già nel 2020 si potrebbero determinare investimenti importanti in settori strategici. Per esempio, riducendo del 10% all’anno i sussidi agli autotrasportatori e vincolando le risorse all’acquisto di mezzi più efficienti e premiando le imprese che scelgono l’integrazione modale con ferro e navi; eliminando nelle isole minori i privilegi di cui godono vecchie centrali diesel e spostando la produzione verso solare, eolico, biometano e idroelettrico; cancellando le esenzioni dal pagamento delle accise di cui beneficiano le auto diesel e i voli di linea”.

Eliminando i sussidi alle fossili, gli investimenti possibili secondo Legambiente si possono sintetizzare in 4 miliardi in più al Servizio Sanitario Nazionale e al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente per garantire i fondi necessari per l’esercizio dei controlli e della prevenzione; 4 miliardi in più all’istruzione scolastica e all’Università.

E ancora: 3 miliardi in più per il Fondo Nazionale Trasporti, non solo per evitare ulteriori tagli drastici al servizio ma anche per rilanciarlo, determinando ampi benefici per l’intero sistema economico nazionale; 3 miliardi per la lotta al dissesto idrogeologico e per l’adattamento ai cambiamenti climatici, anche se molto di più dovrebbe essere destinato a queste voci e alla prevenzione del rischio sismico.

Inoltre, conclude Legambiente, sarebbe opportuno introdurre il divieto di investire nelle fonti fossili per i fondi pensione privati e per le imprese a partecipazione pubblica, prevedendo l’obbligo di un piano di disinvestimento per quelle attualmente operative nel settore

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