Dalla misura delle maree si può desumere il clima del passato. Il clima locale, regionale e globale è infatti determinato dalle masse d’acqua più profonde degli oceani che interagiscono con l’atmosfera. Veri e propri “archivi liquidi del clima”
Le misure delle maree ci possano dire qualcosa sulle masse d’acqua oceanica, e dunque sul clima del passato e fungere da veri e propri “archivi liquidi del clima”. Lo ha dimostrato una ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia in uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports. Dai risultati si evince che le correnti e le masse d’acqua della parte più profonda dell’oceano giocano un ruolo fondamentale nell’evoluzione climatica del pianeta, perché influenzano le interazioni tra l’oceano e l’atmosfera e contribuiscono quindi a determinare il clima locale, regionale e globale. La loro descrizione e comprensione sono quindi importantissime. Purtroppo, per il passato quasi nessuna informazione al riguardo è disponibile: pochissime le misurazioni profonde anteriori a pochi decenni.
Questo studio dimostra che una possibilità per ottenere, almeno parzialmente, questa informazione perduta ci proviene dallo studio della dinamica degli stretti. In tali aree, infatti, spesso esistono diverse stazioni per la misurazione delle maree che sono in funzione da più di un secolo. La principale scoperta di questa nuova ricerca è che, sorprendentemente, le variazioni della posizione della superficie del mare misurate da queste stazioni contengono informazioni che riguardano anche molti fenomeni che avvengono sotto la superficie dei bacini adiacenti. Proprio la morfologia degli stretti permette di amplificare questi segnali e trasmetterli fino alla superficie.
La scoperta nasce, come spesso accade nella scienza, da un’osservazione empirica: gli studiosi dell’Università Ca’ Foscari, dell’Alfred-Wegener Institut di Bremerhaven (Germania) e dell’Istituto di Oceanologia P. P. Shirshov di San Pietroburgo (Russia) hanno notato che il livello del mare misurato a Messina non corrispondeva a quello misurato a Catania, a poche decine di km di distanza, e che l’andamento nel tempo della loro differenza ben si sovrapponeva all’alternarsi periodico della circolazione nel vicino bacino del Mar Ionio. Con l’utilizzo di un modello numerico per la descrizione della dinamica degli stretti, gli studiosi hanno potuto dimostrare che la relazione empirica è supportata da una spiegazione fisica: la circolazione oraria piuttosto che antioraria nello Ionio porta masse d’acqua di diversa densità nelle vicinanze dello stretto di Messina e le diverse densità influenzano le dinamiche mareali dello stretto.
“La conclusione alla quale si è giunti – spiegano Angelo Rubino e Davide Zanchettin, tra gli autori della ricerca – è che le differenze nelle serie storiche del livello del mare di Messina e Catania dei primi del ‘900 sono simili a quelle attuali, perciò abbiamo ipotizzato che variazioni nella circolazione dello Ionio simili a quelle osservate recentemente potrebbero aver avuto luogo anche in passato”. La ricerca dimostra che è possibile ricostruire aspetti “perduti” della variabilità locale del mare profondo. Come spiegano gli studiosi, “è quindi possibile affermare che regioni quali gli stretti, dove diverse masse d’acqua vengono in contatto, costituiscono una sorta di ‘lenti d’ingrandimento’ per evidenziare le dinamiche del mare profondo e consentano di approntare degli ‘archivi liquidi’ per la ricerca sul clima”.