Ieri mattina davanti al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali è comparsa la riproduzione di un pianeta malato, con tanto di mascherina, e un “tappeto degli orrori”, con immagini di allevamenti intensivi e foreste che bruciano. Sono i simboli scelti da Greenpeace per denunciare la cruda verità degli allevamenti intensivi e chiedere che queste attività non vengano più finanziate con denaro pubblico, che dovrebbe invece servire ad avviare una transizione radicale dell’attuale modello produttivo. Per questo motivo le attiviste e gli attivisti di Greenpeace hanno aperto uno striscione con la scritta “Basta soldi pubblici alle fabbriche di carne”. Il ministro Stefano Patuanelli ha incontrato Greenpeace e si è detto concorde sull’insostenibilità degli attuali livelli di produzione intensiva di carne e sulla necessità di avviare una transizione del settore, sottolineando inoltre l’eccessiva densità di allevamenti intensivi in alcune zone del Paese.
“Se la politica non aprirà gli occhi sulla necessità di superare il sistema intensivo di produzione di carne, ci attende un futuro ad alto rischio”, dichiara Simona Savini, campagna agricoltura di Greenpeace Italia. “Ora più che mai è necessario utilizzare i fondi pubblici della nuova Politica agricola comune (PAC) e del PNRR per sostenere produzioni ecologiche su piccola scala, piuttosto che maxi allevamenti intensivi che divorano il Pianeta”.
La zootecnia è infatti uno dei principali motori della distruzione delle foreste e della biodiversità, e può in questo modo favorire nuovi salti di specie (spillover) di virus dagli animali agli esseri umani. Gli allevamenti intensivi, in particolare, dove molti animali sono costretti a vivere ammassati in spazi ristretti, sono l’ambiente ideale per il proliferare di agenti patogeni come i coronavirus e i virus dell’influenza, e lo dimostrano anche i numerosi focolai di aviaria scoperti in queste settimane in diversi Paesi, dalla Cina alla Polonia. Una “combinazione perfetta” per l’emergere di nuove epidemie che i governi si troveranno nuovamente a fronteggiare se le cause non saranno affrontate alla radice.
Non basteranno le soluzioni tecnologiche per ridurre gli impatti degli allevamenti intensivi se non si abbatterà il tabù della riduzione dei livelli produttivi. In Italia consumiamo circa il doppio della carne e circa il triplo dei latticini rispetto alla media mondiale. Una dieta insostenibile e sempre più distante da quella mediterranea, che si paga in termini di inquinamento ambientale, deforestazione, maggiori rischi di nuove epidemie e la progressiva scomparsa delle piccole aziende.
“Chiediamo che le istituzioni, a partire dal Ministero delle Politiche Agricole, guardino in faccia la realtà e usino i fondi pubblici per favorire una svolta radicale nel modo di produrre il nostro cibo, senza ricorrere a false soluzioni per puntellare uno status quo che mostra già tutte le sue crepe, anche dal punto di vista economico, dato il reddito sempre più basso degli allevatori. Occorre produrre e consumare meno carne, ma di maggiore qualità, a beneficio della nostra salute, dell’ambiente e della dignità del lavoro dei produttori: gli scienziati non fanno che ripeterlo e faremmo bene ad ascoltarli”, conclude Savini.