Uno studio ha rilevato che la Circolazione Atlantica Meridionale, che trasporta l’acqua calda verso Nord e quella fredda verso Sud, sta passando dalla sua fase veloce a quella più lenta: il fenomeno può provocare un deciso riscaldamento globale
In queste settimane potremmo anche lamentarci di qualche temporale di troppo fuori stagione, ma la realtà è che per i prossimi vent’anni ci aspetta un gran caldo. Questa volta non c’entrano inquinamento ed effetto serra, ma qualcosa di ben più incontrollabile, documentato da una ricerca pubblicata su Nature da un team dell’Università di Washington a Seattle (USA). Cosa succede? La circolazione Atlantica meridionale, che trasporta l’acqua calda verso Nord e quella fredda verso Sud, sta rallentando e il fenomeno può provocare un deciso riscaldamento del clima nei prossimi quattro lustri. Il più recente picco negativo si è registrato dal 2004 al 2010, quando l’indebolimento è stato 10 volte maggiore del previsto.
Lo studio dimostra che l’indebolimento di questa circolazione, che consiste in un sistema di correnti che comprende anche quella del Golfo, fa parte del suo ciclo naturale. Nota anche con la sigla Amoc (Atlantic Meridional Overturning Circulation), funziona come un enorme nastro trasportatore che trascina l’acqua calda del golfo del Messico verso Nord, in direzione della Groenlandia, dell’Islanda e del mare di Norvegia; qui le masse d’acqua si raffreddano, diventano più dense e scendono in profondità. A questo punto la corrente fa una capriola, cambia direzione e trasporta l’acqua fredda verso i tropici.
Per osservarne caratteristiche e velocità, i ricercatori hanno utilizzato immagini satellitari e dati provenienti dal progetto internazionale Argo, che si avvale di boe galleggianti che raccolgono dati su temperatura e salinità. È emerso che questo sistema di correnti sta passando dalla sua fase veloce a quella più lenta e questo ha implicazioni sul riscaldamento globale. Quando è nella fase più veloce, infatti, l’Amoc rimuove maggiori quantità di CO2 dall’atmosfera e le accumula in profondità, intrappolandole per periodi lunghissimi, di almeno mille anni.
«Questi dati confortano un’ipotesi avanzata recentemente, cioè che l’indebolimento di questa circolazione abbia implicazioni sul sequestro della CO2 presente nell’atmosfera», sottolinea l’oceanografo Alessandro Crise, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste. «L’Amoc – aggiunge – trasforma le acque calde in acque più fredde e dense, che assorbono CO2 e vanno in profondità. Si calcola che circa il 50% della CO2 assorbita dagli oceani sia stata catturata dalle acque raffreddate da questo meccanismo, nella sua fase più vivace».