Una Grecia arsa e stremata, consumata da roghi che in poche ore hanno trasformato Atene e altri centri abitati in un girone dantesco. E’ certo che l’origine è dolosa. Un’analisi dell’autolesionismo umano
Il numero dei morti continua a crescere, siamo ormai a oltre 80, di pari passo con quello dei feriti, giunti a quota 600 e delle abitazioni distrutte dalle fiamme, oltre 1000. Le fiamme però non possono cancellare la storia della penisola greca, della sua fiorente cultura e dei suoi miti leggendari, capaci anche a distanza di millenni di veicolare messaggi particolarmente incisivi.
Narra la leggenda di un Titano di nome Prometeo, che incaricato dal padre di tutti gli Dei plasmò l’essere umano dal fango e gli conferì intelligenza e memoria. Affezionatosi alla specie Umana, da lui stesso forgiata, decise di aiutarla nel progresso donandogli il fuoco e il suo immenso potere. Il grande Zeus però non approvò l’operato di Prometeo e lo punì duramente facendolo sprofondare al centro della Terra. Fu proprio grazie al suo sacrificio che gli uomini poterono evolversi, riscaldandosi e difendendosi dalle belve feroci. Da allora Prometeo e il fuoco divennero il simbolo di progresso e ribellione, di libertà di pensiero e di cultura.
Si potrebbe dire che grazie a Prometeo e alle ardenti fiamme che ci donò, sacrificandosi, siamo sopravvissuti fino ad oggi. Ma, si sa, non si scherza con il fuoco e la domanda sorge spontanea: perché da un lato l’uomo è così tecnologicamente avanzato e dall’altro si estingue con le sue stesse mani? Eppure il tanto bramato progresso ci ha fornito le competenze più disparate per dotarci dei mezzi più prestigiosi per una sempre più civile esistenza! Possiamo domare le belve più feroci, ma non sappiamo controllare i nostri stessi impulsi. Come siamo giunti a questo contraddittorio inghippo evolutivo?
La risposta ci è suggerita da una scienza spesso dimenticata ma non per questo meno nobile: l’antropologia. Ogni scienza umana ha origine da una domanda, un interrogativo volto a tentare di comprendere un preciso aspetto della realtà. La domanda che l’antropologia si pone è: “Chi è l’uomo?”. Questo apparentemente banale quesito racchiude al suo interno un’infinità di variabili e sfumature, che abbracciano la storia della specie sapiente, le sue peculiarità ma soprattutto i suoi più radicati limiti. Lo sguardo antropologico è rivolto quindi all’interno della mente umana e a tutte quelle manifestazioni socio-culturali che ne sono espressione. L’Homo Sapiens Sapiens, volgarmente detto “Umano”, è un mammifero abitante del pianeta Terra da circa 250-200.000 anni. Si caratterizza rispetto alle altre specie per la postura eretta, una scatola cranica discretamente sviluppata e l’uso del cosiddetto “pollice opponibile”; principale dote dell’Umano è custodita nella facoltà di plasmare il proprio habitat, grazie alla creazione di tecnologie. Proprio questo potere formidabile costituisce la chiave per comprendere la natura del nostro agire.
Pensate per un attimo alla storia dell’uomo sulla Terra, partendo dalla giungla preistorica da cui nascemmo, così indifesi e fragili rispetto a molte altre creature, la nostra sola forza all’alba dei tempi si rivelò essere l’unione. Ci raggruppammo in tribù per limitare la nostra vulnerabilità e nel tempo questa unione stimolò le nostre facoltà cerebrali, inducendoci a immaginare, ad usare la nostra creatività per sopravvivere.