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Innovazione: copiare il cervello, è la ‘brain inspired computation’  

Supermercati senza casse, auto a guida autonoma: la tecnologia copia il cervello

Costruire un cervello artificiale, capire come funziona il codice neurale, scoprire le ‘equazioni della coscienza’. In una domanda: è possibile ‘copiare’ la potenza di calcolo del cervello e replicare questa capacità trasferendola a livello artificiale? Se lo chiede chi lavora chi lavora sulla ‘brain inspired computation’, cioè sulla capacità di un’intelligenza artificiale di fare calcoli e operazioni ispirandosi proprio al cervello. Uno studio, quello delle attuali neuroscienze, che oggi si presenta come fortemente interdisciplinare e coinvolge ingegneri e informatici.

“Ad oggi, non esiste ancora una teoria chiara e infallibile su come lavori il cervello della cui complessità sappiamo ancora poco, ma passo dopo passo si stanno costruendo dei blocchi”, dice Paolo Massobrio, ricercatore al Dipartimento di informatica, bioingegneria, robotica, ingegneria dei sistemi (Dibris) all’Università degli Studi di Genova, in occasione dell’incontro “Brain Inspired Computation” al Meeting di Rimini.

Negli ultimi anni si è fatta largo la convinzione che non sia il singolo neurone ad avere una grande importanza nella capacità del cervello di ricevere un input, leggerlo, elaborarlo e restituire un output (cioè ricevere informazioni, interpretarle ed elaborare una risposta), ma che il ruolo principale sia affidato a un pool di neuroni e a come questi interagiscono tra loro.

Per questo “bisogna avere strumenti in grado di registrare più neuroni possibile e che ci permettano di realizzare mappe della connettività che ci diano informazioni su come il sistema nervoso sia connesso. Questo è il ruolo tipico della neuroingegneria”, spiega Massobrio. L’obiettivo è quello di replicare la capacità che ha il cervello di leggere e interpretare la realtà e trasformare questa capacità tutta umana in algoritmi che possano dare lo stesso risultato. Perché?

In parte, questi studi hanno dato risultati che sono alla base di innovazioni e applicazioni che già stiamo utilizziamo o almeno testando. E’ il caso della ‘visione artificiale’. Un esempio? L’auto a guida autonoma. Per chi si chiede come faccia una macchiana guidare da sola, la risposta è proprio nella visione artificiale, che è un classico esempio di ‘brain inspired computation’, cioè di tecnologia che imita il cervello.

L’auto a guida autonoma sostanzialmente ‘vede’, cioè interagisce con la scena che ha attorno e sa distinguere una persona da un sacchetto di carta. Allo stesso modo, grazie alla visione artificiale in un futuro, forse prossimo, faremo la spesa in supermercati senza cass e: negli Usa si stanno già sperimentando punti vendita in cui, attraverso sistemi completamente automatizzati, il cliente entra, fa gli acquisti, tutto viene costantemente monitorato dalle telecamere e la sua spesa viene gestita in maniera automatica.

Ma cos’è la visione artificiale che rende possibili sistemi di questo tipo? Nel caso della visione artificiale, l’organo di senso (l’occhio) è sostituito da una telecamera e l’interpretazione delle immagini (quello che fa il cervello umano) è affidata a un algoritmo. Il computer, però, non vede un’immagine ma una serie di numeri che sono il risultato del processamento della telecamera. Superare il gap tra i numeri e l’immagine finale, creando sistemi e modelli matematici (algoritmi), è il ruolo della visione artificiale.

Per anni l’approccio è stato quello di definire a priori una serie di regole attraverso cui stabilire cos’è, per esempio, un cane: relazioni matematiche e geometriche che dicono che un cane è fatto in un certo modo (zampe, orecchio, naso, dimensioni). Ma questo non sempre ha dimostrato di funzionare perché, per fare sempre lo stesso esempio, il cane può avere colore e dimensioni molto diverse a seconda della razza, ma pur sempre di cane si tratta.

L’intelligenza artificiale ha cambiato prospettiva, eliminando le regole fissate a priori e puntando sull’apprendimento, che è quello che rende unico il nostro cervello. Si ricreano le funzionalità che guidano la percezione visiva umana che avviene attraverso una successione di elaborazioni che via via vengono elaborate aggiungendo livelli di complessità nel tempo. Anche in questo caso, non è il singolo neurone a fare la parte del leone, ma la capacità che i gruppi di neuroni hanno di lavorare insieme.

Insomma, stiamo insegnando all’intelligenza artificiale a comportarsi come il cervello umano. Per dirla come gli addetti ai lavorio, è il ‘deep learning’, ed è alla base dei successi dell’intelligenza artificiale.

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