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Non dire ‘bomba d’acqua’: il meteo tra errori e luoghi comuni 

 

Temperatura reale o temperatura percepita? Caldo afoso o caldo torrido? E poi ‘tromba d’aria’, ‘bomba d’acqua’ ed espressioni come “la colonnina di mercurio ha superato i 40 gradi”, o “sta arrivando Lucifero”. Il tempo è sempre uno degli argomenti più dibattuti, ma sappiamo davvero di cosa si tratta quando parliamo di meteo? A fare chiarezza su alcune espressioni ampiamente diffuse, ma a volte prive di fondamento scientifico, gli esperti della Fondazione Omd (Osservatorio Meteorologico Milano Duomo).

Temperatura reale e temperatura percepita. 38, 39, 40 o più gradi centigradi: soprattutto durante un’ondata di caldo capita di sentire citare queste altissime temperature. In certi casi, si tratta di valori reali, cioè valori di temperatura dell’aria effettivamente misurati da un termometro; in altri però quella citata è la temperatura percepita, meglio detta ‘indice di calore’ o ‘indice biometeorologico’.

Esistono diverse tipologie di calcolo di questo indice: alcune, come l’humidex o l’heat index, si basano solo su temperatura e umidità, mentre altre aggiungono variabili come il vento o la radiazione solare. Lo scopo è comunque quello di descrivere il benessere o il disagio fisiologico che si provano in determinate condizioni atmosferiche. Bisogna inoltre tenere conto di un altro importante criterio, ovvero la posizione del termometro: la temperatura registrata in un’auto parcheggiata al sole, per esempio, non può essere considerata un valore reale.

Caldo afoso e caldo torrido: non tutti i caldi sono uguali. Spesso considerate intercambiabili, queste due espressioni non sono in realtà sinonimi, ma descrivono situazioni in antitesi tra di loro. Il caldo afoso è un caldo umido, caratterizzato da un alto livello di umidità relativa; si parla invece di caldo torrido quando lo stesso valore è piuttosto basso e si verifica quindi una condizione di caldo secco.

Mai dire bomba d’acqua. Rispetto a quanto avviene per altri fenomeni, una delle maggiori difficoltà nella classificazione degli episodi di pioggia sta nel fatto che non esiste una scala di riferimento ufficiale. Diversi esperti hanno fornito negli anni indicazioni per poter stimare l’entità di una precipitazione tendendo conto non solo della quantità di acqua effettivamente caduta al suolo, ma anche e soprattutto della durata dell’evento, che ne determina l’intensità.

Il nubifragio è una precipitazione estremamente violenta, che in breve tempo rovescia al suolo grandi quantità di acqua e può produrre ingrossamento e straripamento di corsi d’acqua, allagamenti e frane. Secondo alcuni studiosi, tuttavia, si può parlare di nubifragio solo se cadono almeno 40 mm di pioggia in mezz’ora, 60 mm in 1 ora, 70 in 2 ore o 80 in 3 ore: un metro di misura che riduce notevolmente il numero di episodi annoverabili come nubifragi. La mancanza di una nomenclatura ufficiale, unita alla tendenza alla spettacolarizzazione dell’informazione meteorologica, ha favorito la diffusione di espressioni assai poco scientifiche ma di grande impatto come bomba d’acqua.

Arriva Caronte! Cicloni e anticicloni. Negli anni ’50, sulla scia di quanto già avveniva negli Stati Uniti per le tempeste tropicali, anche in Europa si iniziò a dare un nome ai principali cicloni e anticicloni (le aree di bassa e alta pressione che con la loro distribuzione determinano lo spostamento delle masse d’aria e l’alternanza del tempo meteorologico). Soprattutto negli ultimi anni, i vari Caronte, Hannibal, Lucy, Lucifero hanno però cominciato a moltiplicarsi, spesso arbitrariamente e a dispetto dei nomi ufficiali, anche in Italia.

È importante sottolineare che spesso tale nomenclatura non ha nessun tipo di fondamento meteorologico: prova ne è il fatto che lo stesso anticiclone è stato battezzato con due o più nomi diversi, con conseguente inevitabile confusione soprattutto tra i meno esperti.

Sono davvero le trombe d’aria a causare danni durante i temporali? Occasionalmente, al di sotto della nube temporalesca (il cumulonembo) si forma una colonna d’aria che ruotando può toccare il suolo oppure la superficie del mare, è in questi casi che si parla rispettivamente di tromba d’aria o di tromba marina. Se la colonna d’aria non tocca terra si parla allora di funnel. I danni causati dal vento durante un violento temporale nella maggior parte dei casi sono invece riconducibili al downburst, violente raffiche dovute alle forti correnti discendenti temporalesche: in questo caso i venti non hanno un moto rotatorio, ma si muovono orizzontalmente dopo aver impattato al suolo.

 

 

Adnkronos.

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