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Osservatorio Smart City:”Strutture urbane, vanno riviste le funzionalità”

Achille Colombo Clerici

Che il clima stia cambiando è sotto gli occhi di tutti. A Milano, per citare, in 50 anni (1961-2010) le temperature medie estive sono aumentate di 2 gradi, i periodi di siccità si sono prolungati (il record è di 48 giorni senza pioggia) interrotti da temporali ‘tropicali’ che causano allagamenti e, in altre città, talvolta alluvioni con numerose vittime e danni ingenti cui vanno aggiunti i morti, soprattutto anziani e fragili, a causa delle ondate di calore. I fenomeni sono in aumento esponenziale. Ciò ha rilevanti conseguenze sulle città del globo, dove vive ormai oltre la metà della popolazione mondiale.

Parlandone all’Osservatorio Smart City dell’Università Bocconi di Milano, ho ricordato come nel settore edilizio-urbanistico, sotto la spinta dell’U.E. sia in atto una duplice azione: per un verso volta a incidere direttamente sulle cause dei cambiamenti climatici (parliamo della politica per la riduzione delle emissioni di CO2 e, più recentemente, di metano). Per altro verso, è in atto un processo di riqualificazione, sotto il profilo funzionale, degli edifici esistenti. In altri termini un ripensamento della funzionalità delle strutture urbane anche alla luce delle tendenze centrifughe e deterritorializzanti in atto, aggravatesi a seguito della vicenda pandemica: pensiamo allo smart working, alla didattica a distanza, all’e-commerce, alla telemedicina, alla cultura, allo spettacolo e al leisure online, etc.

La condizione di vita di clausura affrontata durante tutto il periodo del lockdown ha accentuato la ricerca di soluzioni abitative tese a consentire il maggior contatto con la luce, l’aria, la natura. Una ricerca di proiezione dell’uomo al di fuori della cella abitativa edilizia; una ricerca di un prolungamento della casa nella natura.

Va osservato, tra l’altro, che in Italia il problema-città ai fini ecologici, è più grave che altrove. Con l’opzione referendaria antinucleare, infatti, si è fatta la scelta di inquinare (attraverso l’uso prevalente degli idrocarburi – petrolio, metano – e non dell’elettricità, del teleriscaldamento, delle energie rinnovabili) dove l’energia è consumata, cioè all’interno delle città (divenute isole di calore), e non dove essa viene prodotta, cioè in aperta campagna, luogo in cui lo smaltimento dell’inquinamento sarebbe più agevole.

 

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