In un momento storico in cui emerge in modo ancora più evidente la scarsità di materie prime, è necessario ripensare gli attuali modelli di business e consumo basati sullo sfruttamento di preziose risorse naturali non rinnovabili. L’abuso di plastica usa e getta, ovvero quell’insieme di imballaggi e contenitori progettati per diventare in poco tempo un rifiuto difficile da riciclare, rappresenta un’evidente e intollerabile assurdità. È peraltro tra le concause di una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi: l’inquinamento da plastica.
Nonostante abbiamo sempre più prove sulla gravità del fenomeno, mancano però interventi risolutivi sia a livello politico che industriale. Come dimostra il rapporto “Plastica: emergenza fuori controllo”, diffuso oggi da Greenpeace, che passa in rassegna tutti i limiti ormai evidenti di questo modello produttivo insostenibile. Agli impatti crescenti sul mare e sulla biodiversità, si aggiungono quelli sul clima e sulle comunità del Sud del mondo. Aspetti su cui prova a intervenire una risoluzione approvata nell’ultima Assemblea delle Nazioni Unite, che avvia i lavori per un trattato globale sulla plastica.
«Malgrado finora si sia fallito nell’affrontare concretamente la crisi ambientale dovuta all’inquinamento da plastica, la recente risoluzione approvata dalle Nazioni Unite, che dovrebbe portare a un trattato globale legalmente vincolante per gestire i problemi legati all’intero ciclo di vita della plastica, è però un primo passo importante», dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «Ci auguriamo che si giunga a un trattato sulla plastica con chiare indicazioni sulla necessità di ridurre la produzione, a partire dalla frazione monouso, e che affronti il problema delle migliaia di sostanze chimiche usate nei processi produttivi, alcune delle quali sono cancerogene o hanno conseguenze negative sul sistema endocrino e ormonale. È necessario tenere in debita considerazione i problemi di giustizia sociale e ambientale».
Per raccontare le varie problematiche connesse al business della plastica, gli impatti sempre più gravi sull’ambiente e l’inerzia delle aziende e dei governi, Greenpeace Italia e il Fatto Quotidiano lanciano oggi “Carrelli di plastica”. Una serie di inchieste e approfondimenti che nelle prossime settimane proverà a far conoscere meglio questa emergenza fuori controllo, destinata addirittura a peggiorare se non saranno adottate serie politiche per contrastare l’inquinamento e ridurre la produzione.
Dagli anni Cinquanta la produzione di materie plastiche continua infatti a crescere senza sosta e, secondo le stime più accreditate, raddoppierà i volumi del 2015 entro il 2030-2035 per triplicarli entro il 2050. In base alle proiezioni, nel 2040 la quantità di rifiuti dispersa ogni anno nei mari passerebbe dagli 8 milioni di tonnellate odierne a circa 29 milioni di tonnellate.
Ad aggravare l’inquinamento contribuisce in modo preponderante la frazione monouso, circa il 40 per cento della produzione globale, di gran lunga la più abbondante presente nell’ambiente. Il sistema di riciclo, da sempre indicato da aziende e governi come principale soluzione, ha mostrato tutti i suoi limiti: di tutta la plastica prodotta nella storia umana solo il 10 per cento è stato correttamente riciclato, il 14 per cento è stato bruciato mentre il restante 76 per cento è finito in discariche già stracolme o disperso nell’ambiente.
L’enorme produzione di rifiuti di plastica non riciclabili ha generato inoltre un gigantesco traffico internazionale di rifiuti che coinvolge numerose nazioni del Sud del mondo, non dotate di adeguata impiantistica, diventate le discariche della spazzatura occidentale. Considerando che il 99 per cento della plastica deriva da petrolio e gas fossile, l’emergenza plastica contribuisce in modo sostanziale alla crisi climatica in corso. Oggi, considerando l’intero ciclo di vita, il settore della plastica sarebbe il quinto/sesto Stato per emissioni di gas serra. Se le stime di crescita della produzione dovessero essere confermate, diverrebbe il terzo Stato per emissioni entro il 2050. Un vero paradosso considerando che, secondo l’IPCC, negli stessi decenni dovremmo invece dimezzare le emissioni antropiche per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.