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Rifiuti: Utilitalia, in Italia pochi impianti e troppa discarica 

Rifiuti, in Italia pochi impianti e troppa discarica

Gli impianti di trattamento dei rifiuti urbani in Italia sono numericamente insufficienti e mal dislocati sul territorio, costringendo il nostro Paese a ricorrere in maniera ancora eccessiva allo smaltimento in discarica. E’ quanto emerge dallo studio “Il fabbisogno nazionale di trattamento dei rifiuti” di Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) che scatta una fotografia della situazione attuale e allo stesso tempo disegna lo scenario al 2035, presentato oggi nel corso della Fiera Ecomondo di Rimini.

Nel 2017 in Italia sono state prodotte 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (500mila in meno rispetto al 2016). Circa 2 milioni di tonnellate sono state trattate o smaltite in Regioni diverse da quelle di produzione; il flusso viaggia principalmente dal Centro-Sud verso il Nord (il 7% dei rifiuti urbani). Il Nord ha importato il 12% dei rifiuti urbani, pari a 1.680.000 di tonnellate (più 3%) e ha conferito in discarica il 10%; il Centro ha esportato il 16% dei rifiuti (pari a oltre 1 milione di tonnellate), avviandone a discarica il 36%; il Sud ha invece esportato il 7% (il 29% è finito in discarica).

“Il problema – spiega Filippo Brandolini, vice presidente di Utilitalia – non è solo di capacità installata, ma soprattutto di dislocazione geografica. Serve una strategia nazionale per definire i fabbisogni che operi un riequilibrio a livello territoriale, in modo da limitare il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni, abbattendo le emissioni di CO2. Ecocerved ha stimato che nel 2016 i viaggi dei rifiuti italiani sia urbani che speciali sono stati pari a 1,2 miliardi di km”.

Nel 2017, sono state raccolte 6,6 milioni di tonnellate di organico (100mila tonnellate in più rispetto al 2016). Circa 1,3 milioni sono migrate principalmente dal Centro–Sud verso il Nord, pari al 22% dei rifiuti raccolti per questa categoria, un aumento di 200mila tonnellate (pari al 5% in più). Inoltre, ci sono anche trasferimenti tra Regioni limitrofe per una quantità pari a 400mila tonnellate.

Nel 2017, oltre agli indifferenziati, sono state smaltite negli inceneritori 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani trattati (vale a dire sottoposti a trattamento meccanico e biologico e per questo riclassificati come rifiuti speciali).

Circa 650mila tonnellate (50mila in più dell’anno prima) sono state trattate in Regioni diverse da quelle di produzione; il flusso è stato principalmente dal Centro–Sud verso il Nord (pari al 23% del trattato). Anche in questo caso sono presenti delle migrazioni di rifiuti fra Regioni limitrofe per 250mila tonnellate.

Le discariche sono il sistema di trattamento dei rifiuti con il maggiore impatto ambientale, soprattutto per le emissioni di CO2. Tuttavia, sono state ancora smaltite in discarica 6,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani; 600mila di questi sono stati trattati in Regioni diverse da quelle di produzione, principalmente dal Centro verso il Nord. Le esportazioni fra Regioni limitrofe hanno riguardato 220mila tonnellate.

La vita residua delle discariche non arriva a 10 anni: per il Nord si prospettano ancora 8-9 anni; per il Centro 7-8 anni; per il Sud 3-4 anni. Al momento l’Italia avvia a discarica una media del 23% dei rifiuti urbani trattati, mentre l’Unione Europea ci impone di scendere al di sotto del 10% entro il 2035 a questo ritmo di conferimento, saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare la spazzatura in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione.

Secondo l’analisi di Utilitalia, che tiene conto dei target fissati dal pacchetto Ue sull’economia circolare al 2035 (in particolare del raggiungimento del 65% di riciclaggio e dell’uso della discarica per una quota al massimo del 10%), considerando la capacità attualmente installata, se si vuole annullare entro quella data l’export tra le macro-aree del Paese, il fabbisogno impiantistico ammonta a 5,3 milioni di tonnellate.

Nello specifico, il Nord risulta autosufficiente per la termovalorizzazione e in debito di 200mila tonnellate per l’organico; il Centro avrebbe bisogno di termovalorizzare 900mila tonnellate e di trattare 1,1 milioni di tonnellate di organico; al Sud servirebbe termovalorizzare 400mila tonnellate e trattare 1,5 milioni di tonnellate di organico; per la Sicilia il debito sarebbe di 500mila tonnellate di incenerimento e 700mila tonnellate di organico; la Sardegna sarebbe invece autosufficiente sia per l’organico che per la termovalorizzazione. Il tutto limitandosi all’universo dei rifiuti urbani e senza tener conto dei rifiuti speciali, la cui filiera risulta anch’essa in sofferenza.

L’Italia – sottolinea Brandolini – ha urgentemente bisogno di nuovi impianti soprattutto per il trattamento della frazione organica, in mancanza dei quali non sarà possibile raggiungere i target Ue, che, ricordiamolo, nel 2024 saranno introdotti anche per i rifiuti speciali. Anche perché nei prossimi anni è previsto un considerevole aumento della raccolta differenziata, che si tradurrà in un incremento degli scarti di lavorazione e dei rifiuti organici da trattare”.

“Già ora in Italia e in Europa – continua – l’industria del riciclo denuncia che la carenza di sbocchi per gli scarti sta mettendo seriamente a rischio la possibilità di riciclare i rifiuti. Senza impianti di digestione anaerobica e senza termovalorizzatori non si chiude il ciclo dei rifiuti. A questo proposito risulta sempre più evidente la necessità di una strategia nazionale dei rifiuti, che guidi il processo di transizione verso l’economia circolare”.

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