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SMART WORKING: COME LAVORARE “DA CASA” IN SICUREZZA

Dalla Società Italiana di Medicina Ambientale alcuni consigli per ridurre i potenziali rischi associati al “lavoro agile”.

Il lavoro agile o smart working è stato uno degli strumenti individuati dal Governo come ausilio indispensabile nel contesto della situazione emergenziale derivata dalla pandemia COVID-19. Se da parte, lo smart working ha concorso a una notevole diminuzione del rischio di esposizione al virus per una fascia estesa della popolazione, dall’altra, ha costituito uno scenario nuovo in cui ripensare il lavoro. Favorita dalla tecnologia oggi disponibile, questa modalità si caratterizza per un diverso approccio al lavoro, basato su un rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro e su una maggiore flessibilità. In particolare, il datore di lavoro, pur non avendo il previo controllo dell’ambiente scelto dall’operatore, resta responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici consegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività, nonché della loro manutenzione. 

Tale modalità di lavoro ha realizzato un modello “ibrido” di prestazione lavorativa non esente da criticità con inevitabili impatti sulla salute e sicurezza.

È questo il punto di partenza per una riflessione costruttiva, utile a favorire un cambiamento strutturale ormai in atto. Nello smart working il fattore umano assume un peso preponderante nella valutazione del rischio e nell’attuazione di comportamenti corretti, che deve tenere in conto il coinvolgimento e la partecipazione di tutti coloro che operano e agiscono nell’ambiente domestico o comunque esterno all’ambiente di lavoro propriamente inteso.

In questo contesto non ancora sufficientemente normato, la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) ha predisposto alcuni consigli utili per ridurre i potenziali rischi associati allo smart working, primo fra tutti l’esposizione all’elettrosmognegli ambienti indoor che non andrebbe mai sottovalutata.

A tale proposito, il professor Prisco Piscitelli, epidemiologo e Vicepresidente SIMA, ricorda: “L’inquinamento elettromagnetico (elettrosmog) e la conseguente esposizione ai campi elettromagnetici non ionizzanti tende sempre a crescere a causa dell’introduzione nell’ambiente di nuove e svariate sorgenti artificiali come, ad esempio, impianti di telecomunicazioni, dispositivi elettronici Wi-Fi, telefoni cellulari, linee elettriche ad alta tensione. Mentre sono noti gli effetti acuti che si verificano a livelli di esposizione molto elevati, i risultati di varie ricerche scientifiche non hanno fornito indicazioni univoche sull’insorgenza di effetti nocivi per la salute da esposizioni a lungo termine a bassi livelli di esposizione”. 

Nel 2002 l‘Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato i campi magnetici a bassa frequenza e successivamente i campi elettromagnetici a RF (2013) tra i possibili cancerogeni (come il carburante diesel, piombo, stirene, ecc.). 

Bambini e ragazzi – presenti in casa per la chiusura delle scuole o le vacanze – possono rappresentare una fascia maggiormente vulnerabile e suscettibile di un più cospicuo assorbimento delle onde elettromagnetiche per un maggiore contenuto di acqua all’interno del cranio e uno spessore osseo più sottile. 

Il rischio di sviluppare una patologia è inoltre legato al lunghissimo periodo di potenziale esposizione prevedibile: i bambini di oggi saranno esposti ai campi elettromagnetici dei telefoni cellulari per tutta la vita, mentre gli studi attuali si fermano a 10-15 anni di esposizione. 

L’azione cancerogena dei campi elettromagnetici è dovuta sia ai danni genetici (mutazioni del DNA) sia epigenetici (alterata sintesi di proteine, disfunzioni enzimatiche, deficit di controllo della replicazione cellulare, aumento dei radicali liberi, ecc.), oltre che all’energia trasferita ai tessuti, che ne provoca l’aumento di temperatura (cosa che accade in misura molto minore nel caso di utilizzo di messaggistica e social). 

“Allo scopo di migliorare la qualità della vita negli ambienti confinanti, trasformatisi in ambienti di lavoro a distanza, si possono prendere in considerazione e mettere in pratica alcuniutili e semplici accorgimenti: in primo luogo, è importante utilizzare i telefoni cellulari in condizioni di alta ricezione del segnale, ovvero in zone ad alta copertura di rete per la telefonia mobile, così come è preferibile usare telefoni cellulari di ultimagenerazione caratterizzati da un basso assorbimento elettromagnetico e fare chiamate brevi o utilizzare auricolari e sistemi viva-voce in caso di lunghi colloqui” – dichiara Alessandro Miani, Presidente SIMA –  “Per quanto riguarda il posizionamento delle antenne dei sistemi Wi-Fi, Bluetooth e reti senza fili, il consiglio è quello di installarli negli ambienti della casa meno frequentati, evitando di tenere inutilmente accesi nei luoghi di lunga permanenza il Wi-Fi e apparecchi elettrici. Per l’uso del pc portatile, è da preferirsi il collegamento via cavo o, in alternativa, bisognerebbe interrompere la connessione Wi-Fi nei periodi di inattività, per evitare che la continua ricerca di una rete generi inutili esposizioni.  Ogni 2 ore prendetevi una pausa di 5 o 10 minuti. Ricordate anche che è doveroso evitare di dormire tenendo lo smartphone vicino al letto, magari anche in ricarica, oppure avere dispositivi elettronici (radiosveglie, segreteria telefonica ecc.) poggiati sul comodino vicino a voi”. 

Infine, come spiega il dottor Carlo Ottaviani, Dirigente Medico Legale INAIL: “Dal punto di vista della sicurezza, viene a mancare una categorizzazione dell’ambiente di lavoro, tradizionalmente basato su strumenti, spazi e tempistiche finalizzati a una specifica produzione e inquadrati in un’organizzazione lavorativa che prevede un insieme di comportamenti corretti, atti a garantire la tutela dei lavoratori e la prevenzione di infortuni, malattie, contagi. Di qui la necessità di valutare l’opportunità di un intervento del legislatore volte a normare le criticità anzidette, specie sotto il profilo della tutela assicurativa sociale”.

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