Pubblicato il: 15/05/2020 13:08
Oltre 1 milione e 600mila i posti di lavoro ‘circolari’ stimati nell’Italia pre-Covid , esattamente 1.672.310. Questi, secondo le ultime previsioni di Unioncamere-Anpal, aggiornate a febbraio 2020. Per stimare il possibile futuro dell’occupazione green in Italia, Legambiente e Green Factor, nell’ambito del progetto Ecco (Economie Circolari di COmunità), hanno sviluppato un’analisi concentrandosi su 55 figure professionali e sottoposto un questionario ad un gruppo selezionato di attori dell’economia circolare, per testare il grado di fiducia in una possibile ripresa basata su uno sviluppo sostenibile.
Nel 2019, il 78,8% delle imprese italiane ha richiesto competenze green, non solo a chi possiede un titolo universitario (83,1%), ma anche a neodiplomati (78,1%) e a chi si affaccia al mondo del lavoro subito dopo le scuole dell’obbligo (79,8%). Dati, questi, che dovranno scontrarsi con le 422mila unità lavorative in meno previste da UnionCamere per effetto del Covid-19, che includono 190mila unità di lavoratori indipendenti e 232mila dipendenti privati.
In particolare, l’indagine si è inizialmente concentrata su 55 gruppi professionali legati sia all’impresa che all’auto-impresa, tenendo in considerazione tutte quelle professioni che possono avere sviluppo in ambito locale e auto-imprenditoriale, e analizzando i dati di tendenza 2019 sulle professioni dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal.
Le competenze verdi si confermano abilità con un altissimo potenziale occupazionale, e non solo per ‘addetti ai lavori’: tra le professioni chiamate ad affinare le abilità green, cuochi, gestori di bed and breakfast e agriturismi, addetti all’assistenza e alla sorveglianza di adulti e bambini, ma anche falegnami, fabbri, estetisti e webmaster. Tutte figure che mostrano un elevato Indice Green, percentuale che misura il potenziale di risparmio energetico e sostenibilità ambientale della singola professione.
“Sono state analizzate due classi di professioni. Un primo gruppo di 29 categorie, con un mercato di circa un milione e mezzo di posizioni aperte sul mercato del lavoro nel 2019, tutte potenzialmente coinvolte in processi di economia circolare dal basso o in imprese via via più strutturate fino alle grandi con oltre 50 dipendenti”, commenta Marco Gisotti, giornalista e direttore di Green Factor.
“Quindi, un secondo gruppo nel quale sono state classificate tutte quelle altre categorie professionali, in tutto 22, nelle quali esplicitamente Istat pone riparatori e manutentori: un mercato di 234.140 posizioni disponibili in entrata solo nello scorso anno”, aggiunge.
L’analisi si è conclusa con una rilevazione su un gruppo selezionato di esperti scelti fra operatori di economia sociale e circolare, per iniziare a stimare l’impatto socio-economico della crisi sanitaria determinata dal Covid-19.
Nonostante l’indagine sia stata svolta proprio nel periodo di lockdown, e quindi con le evidenti limitazioni nello svolgimento di molte professioni e con la stragrande maggioranza delle piccole e microimprese ferme, è emerso come la crisi sanitaria sia percepita come un problema per il 42% dei casi, ma rappresenti, allo stesso tempo, l’occasione per costruire un nuovo paradigma occupazionale più sostenibile nel 61% dei casi. Solo il 9% ritiene l’epidemia ininfluente e pensa che le cose torneranno come erano prima.
Una tendenza che trova conferma nelle proiezioni degli intervistati a 1, 5 e 10 anni dall’epidemia per quel che riguarda i posti di lavoro nei settori dell’economia circolare. Oltre ad una certa preoccupazione per l’immediato futuro, le stime appaiono più rosee via via che la proiezione si distanzia nel tempo: i soggetti intervistati ritengono che i lavori green cresceranno nel prossimo anno quasi dell’8%, per lasciare spazio al 26,4% nei prossimi 5 anni.
Molto atteso il ruolo delle istituzioni in chiave europeista. Un sentimento, quello della fiducia verso una visione europea dell’ambiente, che tende a radicarsi nella prospettiva di un più lungo periodo. La stima dell’aumento dell’occupazione green ammonta al 34,5% nei prossimi 10 anni, grazie alla fiducia negli investimenti e nelle politiche europee.
I soggetti scelti hanno, inoltre, valutato i fattori utili per implementare azioni di economia circolare e quelli che possono rappresentare un rischio per il suo sviluppo, assegnando un valore numerico compreso tra 0 e 100. Tra gli interventi più attesi, la diminuzione della pressione fiscale da parte dello Stato (con un peso di 85 su 100) per chi opera nell’economia circolare e il perfezionamento del sistema di leggi e regolamenti nazionali e locali anche per chi vorrebbe iniziare (84,2).
Inoltre, l’indagine mostra che i rischi maggiori per gli intervistati derivano da fattori pre-Covid. La crisi sanitaria, per quanto abbia un peso di 45,8 su 100, è ben distante dai vincoli imposti dalla burocrazia (che ha un peso di 74,2) e dalla scarsa attenzione che le istituzioni deporrebbero in essa in ambito locale (68,3).
La riparazione e il recupero di beni sono percepiti come i settori e i temi che avranno maggiore possibilità di sviluppo nel prossimo futuro. Anche il settore del riuso ha una sua fondamentale importanza, se si considera l’aumento sia di franchising che di piccole attività che puntano sul mercato della ‘seconda mano’.
“Possiamo e dobbiamo immaginare che il mercato del lavoro abbia sempre più bisogno di competenze verdi. Lo confermano i numeri – dichiara Lorenzo Barucca, responsabile nazionale di economia civile Legambiente – L’economia e i processi circolari rappresentano la direttrice sulla quale è possibile innervare percorsi economici civili per generare posizioni lavorative e includere persone in condizioni di marginalità. Crediamo che la strada dell’‘inclusione circolare’ possa rappresentare una sana ricetta di sviluppo economico che guarda al rilancio in chiave green di settori strategici per il Paese tra cui turismo, mobilità, ristorazione, energia e rifiuti”.
Adnkronos.