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Il Recovery fund non è ancora completamente equo e green

Il Recovery Fund dell’UE presentato oggi dalla Commissione Europea ha riconfermato la sua ambizione nell’essere conseguente rispetto al Green Deal europeo, ma mancano ancora molti elementi chiave, tra cui il ruolo che svolgono i sistemi naturali, e sembrano essere state lasciate aperte scappatoie per il proseguimento di investimenti insostenibili dal punto di vista ambientale. 
Il pacchetto consiste in una proposta di revisione del bilancio UE (QFP), che include ulteriori fondi per la ripresa, per un valore complessivo di 1.850 miliardi di euro. 

“Quanto dichiarato oggi dalla Presidente von der Leyen dimostra che si sta facendo uno sforzo al fine di mantenere l’impegno della Commissione Europea per rendere il Green Deal il “motore” della ripresa economica.  Purtroppo, però, le misure sono ancora insufficienti e la ripresa è in stallo- ha affermato Ester Asin, Direttore di WWF EPO-. In particolare, mancano meccanismi chiari per implementare e far rispettare le condizionalità green e per garantire che i fondi destinati agli Stati Membri non siano impiegati in attività dannose per l’ambiente, come quelle che favoriscono i combustibili fossili o la realizzazione di nuovi aeroporti e autostrade”.

Mentre la CE cita una serie di settori chiave per la creazione di posti di lavoro green, come quelli dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili, la quota complessiva dei finanziamenti destinati a tali settori risulta essere poco chiara e sono praticamente assenti gli investimenti diretti alla tutela del patrimonio naturale. La CE propone, inoltre, di introdurre delle linee guida sui “vincoli verdi”che dovrebbero condizionare qualsiasi sostegno UE alle imprese (tramite l’Invest-EU), ma non c’è alcuna garanzia che il pacchetto complessivo aderisca al principio  di evitare il danno all’ambiente proprio dell’European Green Deal.

La proposta presentata oggi dalla CE si intitola, traducendola letteralmente, “Riparazione e preparazione per la prossima generazione”, ma occorreranno ancora molte azioni per mantenere le promesse ambientali e climatiche. Migliaia di giovani vogliono molto di più: una completa revisione del nostro rapporto con la natura e il problema dei cambiamenti climatici- ha concluso Ester Asin-. Gli Stati membri dell’Unione Europea e i parlamentari europei devono ora mettere in campo i  loro strumenti e garantire che la nostra ripresa economica sia veramente verde ed equa, non solo sulla carta. Questo è quello che hanno chiesto milioni di cittadini europei”.

Il WWF, a proposito delle potenzialità economiche delle scelte green, ricorda come dal 2000 al 2015 la crescita di posti di lavori verdi in Europa sia stata sette volte superiore a quella del resto dell’economia e come oggi ci siano 9 milioni di addetti nel settore dell’energia pulita, destinati a raddoppiare entro il 2030. Il WWF aggiunge come l’Agenzia Internazionale per l’Energia indichi che se i Paesi europei facessero politiche coerenti con l’Accordo di Parigi, limiterebbero del 46% l’importazione di combustibili fossili, con un risparmio di 275 miliardi di euro l’anno.
Fin dall’inizio della crisi, il WWF ha affermato in modo inequivocabile che una vera ripresa green non può sostenere attività dannose per l’ambiente; ma dovrebbe includere investimenti sostanziali in settori a zero emissioni di carbonio e nel ripristino della natura (almeno per 50% del totale); dovrebbe ripristinare l’obiettivo di spesa per il clima nell’ambito dell’attuale bilancio UE entro la fine del 2020; utilizzare la Tassonomia dell’UE per individuare le attività che dovrebbero essere sostenute per raggiungere questi obiettivi. 

• Mentre il principio del “non nuocere” viene menzionato una volta, e la Commissione afferma che “il sostegno dovrebbe essere coerente con gli obiettivi climatici e ambientali dell’Unione”, non c’è chiarezza su come questo debba concretizzarsi. Inoltre, il principio sembra applicarsi solo agli investimenti pubblici per la ripresa, e non ai 1.100 miliardi di euro derivanti del bilancio dell’UE, lasciando così una porta aperta ai finanziamenti dell’UE destinati ai settori inquinanti.

• La Commissione si impegna a utilizzare la  Tassonomia UE per guidare gli investimenti nella ripresa dell’Unione Europea, ma non per il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP), il ché lascia aperte grandi domande su come esattamente questa tassonomia sarà applicata alla spesa nell’ambito del QFP e richiede un chiarimento urgente.

• Per quanto riguarda la spesa per il clima e l’ambiente nel QFP, la Commissione ha mancato il bersaglio, continuando a fare riferimento alla sua precedente proposta di una spesa pari al 25% solo per l’azione climatica, senza prendere in considerazione di aumentare l’obiettivo come richiesto a suo tempo dal Parlamento europeo che aveva già chiesto di passare a un obiettivo superiore al 30%. 

• La CE  nel momento in cui fissa l’obiettivo del 25% per il clima dell’attuale QFP, richiama la “flessibilità” per la politica di coesione, con il risultato,  nella sostanza, di non destinare alcuno stanziamento per il clima, il che sarebbe un grave passo indietro rispetto agli accordi passati. Ciò è totalmente controproducente per gli obiettivi del Green Deal e dovrebbe essere oggetto di un radicale ripensamento. Inoltre, i finanziamenti saranno aumentati di altri 55 miliardi di euro (fino al 2022) senza che siano previsti chiari criteri di spesa. 

Nel piano c’è anche la proposta di aumentare il Fondo di Giusta Transizione a 40 miliardi di euro. Sebbene questa decisione sia importante e benvenuta, per il WWF il Fondo deve escludere esplicitamente tutti i combustibili fossili e non può sostituire le altre fonti di finanziamento e gli investimenti aziendali che sono cruciali per aiutare le regioni ad abbandonare le attività ad alto tasso di emissioni di carbonio. 

La Commissione ha finora autorizzato 2.000 miliardi di euro di aiuti di Stato da parte degli Stati membri, senza fare riferimento a condizionalità ambientali significative. E oggi non è riuscita a fornire linee guida più chiare. La Commissione dovrebbe richiedere agli Stati membri di subordinare il sostegno almeno alla condizione che le grandi aziende dei settori ad alto tasso di emissione di carbonio producano piani credibili per la transizione, verso un modello economico-produttivo a carbonio zero. Questo approccio rischia di consegnare a chi inquina somme ancora maggiori di aiuti di Stato.
Mentre la Commissione menziona la necessità di sbloccare gli investimenti nelle tecnologie pulite e nelle catene del valore per garantire la decarbonizzazione delle industrie dell’Unione, dice poco sul come poter realizzare questi percorsi sostenibili. L’UE deve subordinare i finanziamenti alle industrie ad alta intensità energetica (in particolare le grandi imprese industriali) alla realizzazione di piani di transizione verso le emissioni zero di carbonio. 

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