Lo scorso aprile le immagini di Notre Dame in fiamme hanno creato uno straordinario moto d’animo che ha spinto persone in tutto il mondo a piangere e soffrire per Parigi, ma anche a mobilitarsi. Oggi c’è bisogno della stessa voglia di reazione per quello che sta accadendo a quegli ecosistemi unici e irripetibili che non sono stati creati dall’uomo, ma sono fondamentali per la sua sopravvivenza e stanno rischiando di scomparire per sempre.
A causa della deforestazione, la foresta amazzonica nel territorio brasiliano sta perdendo una superficie equivalente a oltre tre campi da calcio al minuto e siamo sempre più vicini a un punto di non ritorno per quello che, non solo è il più grande serbatoio di biodiversità del Pianeta, ma rappresenta uno dei pilastri degli equilibri climatici. Al di sotto di una certa superficie, l’ecosistema forestale amazzonico rischia di collassare perdendo la capacità di fornire quei servizi cruciali per l’umanità come la stabilità climatica, la produzione di ossigeno, l’assorbimento di CO2, la produzione di acqua dolce, il mantenimento della biodiversità e tanti altri ancora.
Secondo l’Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile (INPE) solo da quest’anno (dal primo gennaio fino al 19 agosto) gli incendi in Brasile sono aumentati dell’ 83% rispetto allo stesso periodo nel 2018. Nello stesso periodo sono circa 73mila i roghi registrati nel paese di cui il 52% proprio in Amazzonia. Storicamente, in questa regione, l’uso del fuoco è direttamente collegato alla deforestazione, perché è una delle tecniche utilizzate per creare nuovi spazi per coltivazioni, allevamenti e miniere. Secondo l’Amazon Research Institute (IPAM), i 10 comuni dell’Amazzonia con il maggior numero di incendi sono gli stessi con il maggior numero di disboscamenti. Secondo il WWF e altre organizzazioni ad aggravare la situazione sono state le recenti politiche del presidente Bolsonaro che hanno fatto della deforestazione uno strumento per dare maggiore vigore ad uno sviluppo basato sulla predazione delle risorse naturali.
L’area deforestata dell’Amazzonia, che è stata monitorata a luglio via satellite, corrisponde a una superficie di 2.254 chilometri quadrati. Ciò equivale a oltre un terzo di tutto il volume disboscato negli ultimi 12 mesi, tra agosto 2018 e luglio 2019, periodo in cui il totale della deforestazione ha raggiunto i 6.833 chilometri quadrati con un aumento, registrato proprio nel mese di luglio, del 278% rispetto allo stesso periodo negli anni precedenti.
Le foreste pluviali svolgono un ruolo fondamentale di contrasto al riscaldamento globale e senza la loro presenza rischiamo di perdere fra il 17 e il 20% di risorse di acqua per il Pianeta, un numero pari a 6,7 milioni di km quadrati di territori boschivi, e il 20% della produzione di ossigeno della Terra. A questo si aggiunge il rischio della perdita di habitat per 34 milioni di persone e del 10% di tutta la biodiversità mondiale.
“Il saccheggio dell’Amazzonia e delle sue straordinarie risorse ha anche un drammatico risvolto sociale. La deforestazione è infatti accompagnata da un drammatico aumento delle violenze verso le popolazioni indigene che vivono in quei territori. Cacciate dalle loro foreste, assassinate e torturate per il commercio di legna, miniere d’oro, pascoli e coltivazioni, le tribù amazzoniche sono le prime vittime di un efferato crimine contro l’umanità e il pianeta rispetto al quale i nostri occhi e le nostre orecchie rimangono sigillati”, afferma Isabella Pratesi, direttore Conservazione del WWF Italia.
La foresta Amazzonica è un ambiente delicatissimo e irripetibile. Una volta scomparsa sarà scomparsa per sempre e nessun intervento di rinaturalizzazione potrà mai creare la straordinaria varietà, ricchezza e complessità di una foresta tropicale non violata dall’uomo.