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L’Italia in ginocchio

È allarme maltempo in Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta ma sono tante le aree in crisi

Serve un buon governo del territorio 

Le piogge intense, fino a 350 millimitri nel savonese, hanno messo di nuovo messo in ginocchio diverse regioni tra il nord e il sud del Paese. Genova per la terza volta in meno di nove anni è sott’acqua (2011, 2014, 2019): i rii Fegino, Ruscarolo, Valpolcevera sono esondati facendo danni e lasciando detriti e fango al loro passaggio. 
Il sistema di allerta coordinato dal Dipartimento della Protezione civile è forse l’unico aspetto positivo in una situazione disastrosa e evidenzia come il Buon Governo del territorio passi innanzitutto da: lo stop al consumo del suolo nelle aree a più alto rischio idrogeologico e comunque nella fascia dei 150 metri da tutti i corsi d’acqua; la rinaturazione e liberazione delle fasce golenali (laddove possibile) per favorire, in sicurezza, la divagazione delle acque;  la consapevolezza che i cambiamenti climatici devono essere considerati una “variante aggiuntiva” ineludibile nel costruire i modelli previsionali del rischio alluvioni.

In Liguria, nonostante quanto successo nel 2011 e nel 2014 (ma eventi calamitosi estremi con danni e vittime c’erano stati anche negli anni ’90), quasi un quarto del suolo (23,8%) costruito entro la fascia di 150 metri dagli alvei fluviali, è stato occupato dall’espansione urbanistica che continua nonostante il calo della popolazione tra il 2012 e il 2015 (ISPRA, 2016). Si è costruito non solo a ridosso, ma dentro gli alvei anche nel resto d’Italia e solo nei tre anni prima del 2016 le regioni hanno continuato drammaticamente a consumare suolo nelle aree di espansione dei fiumi, portando cemento e infrastrutture dentro la fascia dei 150 metri: il Trentino Alto Adige ha incrementato del 12% il consumo nelle fasce fluviali, il Piemonte del’9%, l’Emilia Romagna con dell’8,2%, la Lombardia dell’8% o la Toscana del 7,2%  (ISPRA, 2016). Non è infatti possibile recuperare i numerosi chilometri quadrati sottratti alle fasce fluviali, scavando l’alveo: negli ultimi 50 anni negli ambiti fluviali, attraverso le varie forme di urbanizzazione, si è consumato suolo per circa 2 mila chilometri quadrati, ossia equivalenti alla superficie di circa 310.000 campi da calcio. In Liguria, ad esempio, lungo il Vara, solo per richiamare un fiume ligure straripato una decina di giorni fa come peraltro anche in passato (ad esempio Borghetto di Vara, che sorge in un’area ad elevato rischio, è andato sott’acqua ora come nel 2011), fino a 150 anni fa il fiume poteva divagare per una larghezza fino a 840 metri (è ciò che è stato calcolato poco più a valle della confluenza con il Magra) mentre ora ha solo 140 metri perché il resto gli è stato sottratto dall’espansione urbana dei comuni rivieraschi e sorge quindi spontanea la domanda: quanto bisognerebbe scavare in profondità per recuperare tutto quello spazio di esondazione? Inoltre i nostri fiumi sono in gran parte in cisi come dimostrano i ponti danneggiati dalle piene perché scalzati per mancanza di fondo. 

Dobbiamo affrontare seriamente e con responsabilità un problema che è estremamente complesso: tornare alla pianificazione di bacino idrografico con una programmazione a medio e lungo termine coerente ed efficace e, soprattutto, dobbiamo considerare i cambiamenti climatici come una variabile aggiuntiva, non sono più un aspetto “straordinario” come dimostra ormai la frequenza triplicata degli eventi estremi in Italia negli ultimi dieci anni. 

Ecco quali sono le richieste del WWF per un buon governo del territorio: 

 

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