Dopo la morte dell’ultimo esemplare maschio di 45 anni, Sudan, avvenuta a marzo all’Ol Pejeta Conservancy, in Kenya, i ricercatori riaccendono le speranze per il salvataggio della specie, che ora conta solo due femmine ancora in vita
Milano – L’analisi del materiale genetico, pubblicata sulla rivista Genome Research dall’organizzazione no-profit San Diego Zoo Global, permette di fare luce sulla storia evolutiva di questo gigante fragile, riaccendendo nuove speranze per il suo salvataggio che si prepara ad opera di un gruppo internazionale di esperti nel quale ha un ruolo di primo piano Cesare Galli, il ricercatore italiano noto per aver clonato il primo toro, Galileo, e il primo cavallo, Prometea.
La mappa genetica del rinoceronte bianco settentrionale è stata realizzata grazie a nove linee cellulari congelate, da cui è stato estratto il Dna poi confrontato con quello della sottospecie ‘sorella’ del rinoceronte bianco meridionale, in assoluto la più numerosa con oltre 20mila individui.
Le analisi dimostrano che le due sottospecie si sono separate evolutivamente circa 80mila anni fa, entrambe con un’ampia variabilità genetica rispetto ad altre specie a rischio. “Il rinoceronte bianco del Sud ha attraversato uno stretto ‘collo di bottiglia’ genetico, ma ora è la forma di rinoceronte più popolosa”, ha spiegato Tate Tunstall del San Diego Zoo Institute for Conservation Research, coordinatore dello studio.
Secondo Cesare Galli, come riporta il Sole 24 Ore, “questo suggerisce che un salvataggio genetico attraverso queste linee cellulari può portare a un simile recupero anche per il rinoceronte bianco settentrionale”.
Le strade da percorrere sono due: “Quella più semplice, attuabile con le tecnologie già disponibili, è l’uso delle cellule di rinoceronte per la clonazione, come è stato fatto per la pecora Dolly e la cavalla Prometea“. Nel marzo scorso, infatti, si stava già parlando di salvare la specie grazie alla fecondazione in vitro e madre surrogata, tentativo nel quale sarà coinvolta anche una azienda italiana, la Avantea di Cremona, insieme all’istituto IZW di Berlino e al Kenya Wildlife Service, come aveva riferito la ong animalista Wild Aid sul suo sito.
“Altrimenti – conclude Galli – in un futuro più lontano, le cellule congelate potrebbero essere trasformate in cellule staminali indotte con cui produrre i gameti per la fecondazione. E’ una strategia interessante ma ancora troppo complicata”.