Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, Roma. Paris Orlando [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]
A due passi da Piazza Navona, Sant’Ivo è un’architettura del tutto originale, un caso unico nella sua epoca, non a caso frutto dell’ingegno di un architetto fuori dal comune come Francesco Borromini. Progettarla fu uno dei compiti più difficili per il grande interprete del Barocco, a causa degli spazi ridotti e della necessità di adattare la chiesa alle strutture preesistenti del Palazzo della Sapienza, l’antica sede dell’università dell’Urbe.
Ma Borromini non si perse d’animo e trasformò i limiti in pretesti per nuove invenzioni: una pianta triangolare che raddoppiò formando una stella a sei punte, una suggestiva alternanza di superfici concave e convesse, la cupola slanciata verso l’alto, che culmina in una lanterna ispirata al Faro di Alessandria enfatizzando il ruolo di guida che la chiesa avrebbe avuto per i fedeli.
Quella del faro non è l’unica simbologia nascosta tra i volumi monumentali di Sant’Ivo, dove i richiami allegorici abbondano: se i triangoli rappresentano la divina Trinità, il cerchio in cui sono racchiusi simboleggia la perfezione, mentre il disegno complessivo della pianta dà vita alla figura stilizzata di tre api, personificazioni della prudenza, della carità e della laboriosità, ma anche emblemi del casato dei Barberini, cui apparteneva il committente papa Urbano VIII.
Dal gotico del Duomo di Milano al mito della Torre di Babele, in quest’opera Borromini rielaborò con straordinaria libertà i riferimenti più vari e fantasiosi. Nessuna meraviglia quindi se il risultato, sebbene si discosti in più punti dal progetto originario, sconcertò i contemporanei del geniale architetto, testimoni dell’annullamento dei confini tra massa e atmosfera. Un effetto che il tempo non ha attutito e che continua a lasciare a bocca aperta i fortunati visitatori di Sant’Ivo: provare per credere.