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Arte e bellezza da scoprire nella Sicilia occidentale

Le colonne del cosiddetto Tempio C nel Parco Archeologico di Selinunte | Foto: Franck Manogil from Beziers, France via Wikimedia Creative Commons

Trapani – Una sinfonia di gialli e di blu, tra spiagge arse dal sole, vasche di sale, fenicotteri rosa. Benvenuti nella Sicilia occidentale, dove i templi orgogliosi, le architetture arabeggianti e i mulini che sprofondano dentro un cielo cobalto sfidano il profumo del finocchio selvatico, il gusto deciso del pane cunzato, quello più delicato delle Genovesi ericine, a comporre una poesia di gusti e di colori nella quale Goethe intravedeva “la chiave di tutto”.

Sospesa tra nuvole e mare, questo cantuccio di Trinacria che da San Vito lo Capo si allunga fino a Mazara del Vallo, inerpicandosi tra i templi di Selinunte e il castello di Erice, accontenta tutti. Gli appassionati del trekking trovano negli itinerari naturalistici della Riserva dello Zingaro il loro diletto, mentre gli art lovers scorgono tra chiese, musei, parchi archeologici l’apoteosi di una cultura millenaria figlia di un fecondo intreccio di popoli e stili venuti dal mare.

Il nostro viaggio inizia dal borgo marinaro di San Vito Lo Capo, sorvegliato dal Monte Monaco, con il Santuario trecentesco dedicato a Vito Martire e a Santa Crescenzia, intorno al quale all’inizio del Settecento iniziarono a comparire le prime case.
Il borgo, noto anche per il suo “Cous Cous Fest”, che si tiene generalmente l’ultima settimana di settembre, offre agli amanti della natura deliziose spiagge, dalla vicina Macari, nell’omonimo borgo, a quella nella Baia di Santa Margherita.

Sulla direttrice per Macari la piccola Cappella di Santa Crescenzia, con il o stile arabeggiante, attirerà la vostra attenzione. Si tratta di edificio religioso costruito nel XIII secolo, in onore della nutrice di San Vito, Santa Crescenzia. La leggenda narra che la donna sia rimasta pietrificata per aver trasgredito l’ordine di non voltarsi durante una frana.


La Cappella di Santa Crescenzia a San Vito lo Capo. Tramite Wikimedia Commons

Tuttavia le sette calette più suggestive, meraviglia per gli amanti dello snorkeling, si incontrano lungo la Riserva dello Zingaro. Questo tratto di costa che corre per sette chilometri, tra San Vito Lo Capo e Castellammare del Golfo, regala agli appassionati del trekking un’immersione in una natura incontaminata.
Non cercate una strada litoranea che vi accompagni. Non la troverete. E poco importa se non riuscirete a effettuare l’intera escursione, che dura in tutto quattro ore. Gli scorci straordinari sono ad ogni passo. La Palma nana sfida l’Aquila del Bonelli, mentre da cespugli e sentieri sbucano cinque piccoli Musei da visitare: il Museo delle Attività marinare, quello della Civiltà contadina, dell’Intreccio, della Manna e il Museo naturalistico (ma assicuratevi che abbiano riaperto dopo l’emergenza coronavirus).

Tappa a Erice, sospesi tra mare e nuvole
Aspettiamo che il sole diventi più tiepido prima di raggiungere Erice e goderci il tramonto, sospesi su una terrazza dove la vista spazia fino alle Egadi. Il tardo pomeriggio è forse il momento migliore per raggiungere questo caratteristico borgo a una quarantina di chilometri da San Vito. Stretta tra mura e bastioni questa antica città fenicia e greca, arroccata a 751 metri di altezza sul monte che per D’Annunzio era la “vetta annunciatrice della Sicilia bella”, è un labirinto di viuzze acciottolate, case serrate le une alle altre, come dita nel pugno di una mano.


Il Castello di Venere, Erice | Foto: domeniconardozza

L’antica Eryx era nota per il suo tempio dove i Fenici adoravano Astarte, i Greci Afrodite, i Romani Venere Erycina. Qui risiedevano le sacerdotesse dedite alla prostituzione con pellegrini e marinai che raggiungevano il picco roccioso per omaggiare la dea. Sui resti di questo tempio sorse, intorno al 1100 il Castello normanno con, al suo fianco, le Torri del Balio. Oggi restano poche tracce. Il castello funzionava anche da carcere ed era collegato alle Torri da un ponte levatoio, in seguito sostituito dalla gradinata ancora oggi visibile. Accoglieva i più alti rappresentanti dell’autorità regia, dal Castellano che amministrava la giustizia penale al “Bajulo” del regno (che diede il nome all’area) che soprintendeva alla giustizia civile e al controllo delle tasse. Nel 1872, grazie alla generosità di Agostino Pepoli furono riedificate la torre pentagonale, distrutta nel XV secolo, e la cortina merlata a protezione dell’area interna, mentre fu realizzato il giardino pubblico “all’inglese” del Balio. Divenuto uno dei simboli di Erice, questo angolo silenzioso racchiude diversi punti panoramici che, sul lato sud, abbracciano Trapani, le saline, le isole Egadi, la laguna dello Stagnone e le coste del marsalese, guardando, sul fronte opposto, verso la cima di monte Cofano, per fa risvegliare, nelle giornate più limpide, anche la sagoma dell’isola di Ustica. Nata, secondo Tucidide, da esuli troiani, divenuta araba, normanna, spagnola, dal 1963 Erice, “città della scienza” ospita il Centro di cultura scientifica Ettore Majorana, nato su iniziativa dello scienziato Antonino Zichichi.

A Trapani, tra chiese e storia
Lasciamo il borgo di Erice con in bocca il sapore dolcissimo di un biscotto di fico. Puntiamo verso Trapani, a una decina di chilometri (il servizio di funivia è temporaneamente sospeso). Per gustarsi il passeggio nella “città tra due mari” sdraiata su una penisola a forma di falce (dal greco drepanon, da cui il nome), o per godersi il fresco ai piedi della torre seicentesca di Ligny basta una sera.


Tiziano, Stimmate di San Francesco, 1525, olio su tela, Trapani, Museo regionale Agostino Pepoli

Rimandiamo al giorno successivo la visita al centro storico e al Museo regionale Agostino Pepoli nell’antico convento trecentesco dei Carmelitani. Puntiamo dritti alle Stimmate di san Francesco di Tiziano o al Ritratto di Nunzio Nasi di Giacomo Balla, soffermandoci tra un presepe di corallo e il pavimento in maiolica con l’antica mappa di Trapani.

Lungo Corso Vittorio Emanuele la Chiesa del Collegio dei Gesuiti, risalente al XVII secolo, è uno degli esempi di arte barocca in città. Al suo interno, tra marmi e sfarzosi stucchi di Bartolomeo Sanseverino, colpisce la cappella di Sant’Ignazio, a sinistra dell’abside.
Che siate credenti o meno vale la pena di dedicare una tappa al Santuario mariano più famoso della Sicilia occidentale dedicato alla “Madonna di Trapani”. Nonostante sia stato officiato dai frati Carmelitani, giunti a Trapani nella metà del XIII secolo, nulla rimane dell’architettura dell’originario cenobio carmelitano, via via trasformato. La cappella della Madonna di Trapani custodisce la preziosa statua in marmo pario della Vergine con bambino, opera attribuita a Nino Pisano, sbarcata a Trapani dopo il 1300, e venerata in tutto il Mediterraneo, da Genova a Tunisi. Secondo la tradizione sarebbe arrivata dalla Siria con un cavaliere templare pisano, che, costretto da una tempesta a sbarcare a Trapani, l’avrebbe donata come ex voto al Senato cittadino.


La statua della Madonna di Trapani. Tramite Wikimedia Commons

Tutti gli anni, a partire dal 1º agosto comincia la “quinnicina” in onore della Madonna, durante la quale i pellegrini, si recano ogni giorno, per 15 giorni consecutivi, al santuario. Il 16 agosto, la festa della co-patrona della città viene celebrata con una processione solenne per le vie del centro storico, con una copia in legno della statua originale.

Spostiamoci nella Chiesa di Santa Maria del Gesù dove, la Cappella Staiti accoglie la Madonna col Bambino di Andrea della Robbia, una statua in terracotta, maiolica policroma invetriata, con fregio a festoni di fiori e frutta e teste di serafini.

In cinque minuti raggiungiamo la Chiesa barocca delle Anime del purgatorio, sede dei 20 Gruppi sacri della secolare Processione dei Misteri di Trapani che si tiene durante la settimana santa. Questo corteo, che si svolge da oltre 400 anni, porta per i vicoli del centro storico 18 gruppi scultorei e due simulacri realizzati tra il XVII il XVIII secolo dalle botteghe artigiane trapanesi. Alle 14 del Venerdì Santo un lungo corteo prende vita lungo le principali vie della città, snodandosi per 24 ore, senza interruzioni, tra la luce dei ceri e il suono delle “ciaccule”, con il tipico incedere dell’ “annacata”.

La passeggiata artistica alla scoperta delle bellezze di Trapani prosegue nella chiesa di San Lorenzo, precisamente nella Cappella del Crocifisso. Dall’altare grandeggia la Crocifissione, un olio su tela realizzato da Antoon van Dyck intorno al 1640, commissionato dopo il soggiorno siciliano del pittore fiammingo.


Le Saline di Trapani. Tramite Wikimedia Commons

Alla scoperta dell’ “oro bianco” tra le antiche saline di Trapani e Paceco

Approfittiamo delle calde ore pomeridiane per salire in auto (il mezzo ideale per visitare la Sicilia) e raggiungere, in dieci minuti, le Saline di Trapani e Paceco. In quest’area naturale protetta istituita nel 1995, che si estende per quasi mille ettari, si esercita l’antica attività di estrazione del sale, secondo le tecniche tradizionali in uso da secoli. Romantici e silenziosi, i mulini a vento utilizzati anticamente per pompare l’acqua tra i bacini o anche per ridurre in polvere il sale marino, dominano il paesaggio, una delle più importanti aree umide costiere della Sicilia occidentale, ambiente di sosta di diverse specie di uccelli migratori, dal fenicottero rosa all’airone bianco.

Dopo la passeggiata tra i canali che dividono le vasche, basta fare un salto al Museo del sale per ripercorrere le tappe di una storia lunga secoli. Precisamente tremila anni, visto che l’attività delle saline trapanesi risale probabilmente ai Fenici. Per buona parte del primo millennio questo glorioso popolo di navigatori deteneva il monopolio dell’oro bianco, indispensabile nei processi di conservazione della carne e del pescato. È il geografo arabo Idrisi a offrirci la prima vera testimonianza di una salina a Trapani, “vanto, di un territorio naturalmente idoneo alla coltura del sale grazie a un clima favorevole”.


Il Museo del Sale di Paceco. Tramite Wikimedia Commons

Ospitato all’interno di un baglio – un’antica fattoria-fortezza seicentesca adibita alla molitura del sale – il museo accoglie i turisti tra gli antichi strumenti di lavoro dei salinari, vecchie foto in bianco e nero, ruzzoli per compattare il fondo delle saline e cattedri, le ceste per trasportare il sale.
Questo museo, nato per volontà del suo proprietario, Alberto Culcasi, è una tappa da non perdere.

Marsala, dall’archeologia al vino 
Aspettiamo un nuovo giorno per puntare a sud, in direzione di Marsala, “porto di Dio” stando all’etimologia araba del nome “Marsa-Allah”, conosciuta per le saline, l’omonimo vino e lo sbarco di Garibaldi. Perdiamoci nel centro città che si stringe attorno a Piazza della Repubblica. Impossibile non notare il Duomo dedicato al Vescovo di Canterbury, la piazzetta Purgatorio con la fontana barocca e ancora Piazza dell’Addolorata, con il Comune ospitato nel Palazzo VII aprile 1860 – data che ricorda l’insurrezione popolare contro il governo borbonico prima dell’arrivo dei Mille – e l’antico mercato, esempio di una presenza araba resa evidente dall’ architettura.


Danzatori rappresentati nell’ipogeo di Crispia Salvia. Tramite Wikimedia Commons

Per affondare nell’identità di Marsala raggiungiamo l’area archeologica di Capo Boeo che conserva una considerevole parte dell’abitato dell’antica città punica di Lilybaeum, con i resti di una villa di fine II secolo d.C. con tanto di terme e pavimenti musivi. Nella necropoli di Lilibeo è custodito l’ipogeo di Crispia Salvia (fine II – inizi III secolo d.C.) decorato ad affresco. Nell’epigrafe, Iulius Demetrius rivolge un pensiero alla moglie Crispia Salvia, morta a soli quarantacinque anni.

Sosta rigenerante per una degustazione alle storiche Cantine Florio, inaugurate nel 1833, prima di ripartire alla volta dell’area archeologica di Mozia.


Antonino Leto, Lo stabilimento enologico Florio a Marsala (o Fortezza sul mare o Baglio trapanese), 1865-1870

L’estasi e la danza: il Satiro di Mozia

Di fronte alla costa occidentale della Sicilia, tra l’Isola Grande e la terraferma, il mare forma una laguna, chiamata Stagnone. Al centro fluttua l’isola di San Pantaleo, sede della colonia fenicia di Mozia. Fondata alla fine dell’VIII sec. a.C., divenne presto delle più floride colonie fenicie del Mediterraneo. La sua età dell’oro si concluse nel 397 a.C, quando fu distrutta da Dioniso di Siracusa.
“Era situata su un’isola che dista sei stadi dalla Sicilia ed era abbellita artisticamente in sommo grado con numerose belle case, grazie alla prosperità degli abitanti” assicura Diodoro Siculo. La raggiungiamo, da Marsala, in una manciata di minuti, a bordo di un servizio navetta che fluttua sulla laguna.

Nel Museo Archeologico creato da Giuseppe Whitaker sono esposti i reperti più significativi degli scavi di Mozia come il celebre Giovinetto di Mozia, una statua in marmo bianco risalente al V secolo a.C, forse commissionata da uno dei ricchi abitanti di Mozia.


Il Giovinetto di Mozia, 450 a.C.-440 a.C., marmo, Mozia, Museo Whithaker 

Lasciamo la città fenicia e puntiamo verso Mazara del Vallo che guarda alle coste della Tunisia, distanti meno di 200 chilometri.
In questo lembo di Sicilia maturato al calore di civiltà e popoli diversi, il caleidoscopio di culture succedutesi nei secoli è ancora più nitido. I primi insediamenti umani nel territorio mazarese risalgono al paleolitico superiore. Iniziano invece nell’XI secolo a.C. i primi contatti con i Fenici che videro in Mazara il luogo ideale per le loro soste durante i lunghi viaggi verso la Spagna. Cartaginesi, romani, vandali, goti, normanni, angioini si contesero questo fiorente centro economico divenuto a un certo punto il più grosso centro giuridico della Sicilia e un importante punto commerciale, artistico e letterario.

Il Museo del Satiro, con il suo patrimonio sommerso recuperato nel canale di Sicilia che racconta la lunga via delle emigrazioni, racchiude l’emblema della cultura mediterranea. Vale il viaggio la sublime la statua in bronzo del Satiro Danzante databile alla fine del IV secolo a.C. e attribuibile alla scuola del grande Prassitele. Lo immaginiamo ruotare sulla gamba destra mentre impugna il kantharos e la canna del tirso, in preda all’estasi della danza orgiastica. Il capo abbandonato, la chioma fluente, le labbra socchiuse, trasmettono tutto il delirio della vorticosa danza che portava il danzatore alla perdita dei sensi.


Satiro danzante, Età ellenistica (III-II sec. a.C.). Provenienza: Canale di Sicilia, ritrovamento subacqueo. Mazara del Vallo Museo del Satiro di Mazara del Vallo

Uno dei più grandi siti archeologici del Mediterraneo: il Parco di Selinunte

Completiamo il viaggio alla scoperta delle meraviglie della Sicilia occidentale con il Parco archeologico di Selinunte, a una trentina di chilometri da Mazara. Qui la Grecia di Sicilia trova qui uno dei più alti e grandiosi esempi di integrazione tra urbanistica, architettura e paesaggio. Con i suoi oltre 2700 anni di storia e un’estensione di 270 ettari ci proietta in uno dei più grandi e straordinari siti archeologici del Mediterraneo. I greci la chiamavano “Selinùs”, da sélinon, il sedano che tuttora vi cresce selvatico, divenuto simbolo della monetazione della città (che fu tra le prime a coniare monete datate intorno al 550-530 a.C.).


Parco Archeologico di Selinunte

Sfidando il caldo ci muoviamo tra l’Acropoli, l’area più spettacolare del Parco Archeologico, con il suo promontorio che si tuffa a strapiombo sul mare, e la Collina di Manuzza, con l’Agorà, i portici monumentali, la Tomba dell’Ecista. La Collina Orientale e la Collina della Gaggera, con le rovine di imponenti templi dedicati a Era, a Zeus e ad Atena, e il Santuario di Demetra Malophoros, regalano agli occhi uno spettacolo che non vorremmo lasciare.

Le Cave di Cusa, dove veniva estratta la calcarenite per costruire templi e abitazioni, raccontano ai visitatori la genesi dell’antica colonia. E tanto altro ancora scorre nelle arterie di questo luogo fuori dal tempo. Fierezza e splendore riempiono da sempre gli occhi e i taccuini dei viaggiatori.


Alberto Burri, Cretto di Gibellina

È tempo di salutare questo lembo di Sicilia destinato a rimanere nel cuore. Forse abbiamo dimenticato Gibellina, piccolo centro della Valle del Belice raso al suolo dal terremoto del 1968 e dove Alberto Burri, tra il 1984 e il 1989, costruì il suo Grande Cretto, straordinaria opere di land art “così che ne resti perenne ricordo di questo avvenimento”.
In questo “strano e divino museo di architettura” – come Guy de Maupassant definiva la Sicilia, si lascia ad ogni partenza il cuore. E davvero pensiamo, con Pascoli, di essere giunti “dove giunge chi sogna”.

Leggi anche:
• Il Parco archeologico di Selinunte
• I tesori inamovibili della Sicilia

Fonte

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