Francis Bacon, Study for Portrait on Folding Bed | Foto: © Tate London | Courtesy of Chiostro del Bramante, Roma
Nel cortile del Chiostro del Bramante, a pochi metri dalla sala che accoglie il suo corpo nudo abbandonato su un lenzuolo bianchissimo nella posa animalesca resa al tempo stesso tenera dalla vicinanza di Eli, il suo cane prediletto, David Dawson, amico, storico assistente di Lucian Freud, e oggi direttore dell’omonimo Archivio, ricorda il suo rapporto con l’artista.
Negli anni 2000 il rappresentante più illustre della Scuola di Londra gli dedicò quattro grandi dipinti. Poco è cambiato il volto di David da quel ritratto che, come facendosi beffa del tempo, grandeggia tra altri straordinari prestiti arrivati dalla Tate di Londra in occasione del percorso che il Chiostro del Bramante dedica fino al 23 febbraio a Bacon e Freud, per la prima volta insieme in una mostra in Italia.
Accanto alle opere dei due pittori, i lavori di Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego, realizzati dal 1945 al 2004.
“Questi sei artisti – spiega la curatrice Elena Crippa – sono accomunati dall’importanza accordata alla rappresentazione dell’altro, della figura umana, di cui esplorano forma e fragilità e a cui dedicano potenti rappresentazioni. Scrivono uno dei capitoli più significativi dell’arte moderna britannica, in cui la pittura si fa testimonianza di un’esperienza di vita personale, sensuale e spesso violenta. Sono artisti che hanno vissuto il loro piccolo dramma esistenziale in un contesto intimo”.
La sensazione avvertita dallo spettatore che si aggira nelle sale della mostra, tra i 45 capolavori – dipinti, disegni e incisioni, realizzati da artisti eterogenei, nati tra l’inizio del Novecento e gli anni Trenta, immigrati in Inghilterra per motivi diversi e raggruppati nella cosiddetta “School of London” – è quella di essere circondato da una forte, intima, drammatica, umanità sfigurata dalle devastazioni, non soltanto della guerra.
Viene così invitato a esplorare, a scandagliare la loro realtà, per coglierne i frantumi e ricomporne corpi e volti, segnati dalla sofferenza al punto da diventare deformi, ponendosi in ascolto di quell’urlo disperato che racchiude in sé tutta la crisi esistenziale di un’epoca.
E così le opere danno vita a un toccante mosaico che assurge a specchio, dove fragilità ed energia, eccessi ed evasioni, opposti e introspezioni cedono a un contesto storico che parla di guerra e dopoguerra, con tensioni e miserie, desiderio di cambiamento e riscatto sociale.
Bacon dipingeva a partire da fotografie. “Quello che voglio fare è distorcere la cosa ben oltre l’apparenza, ma, nella distorsione, restituirla come un documento dell’apparenza” diceva. Freud rappresentava i suoi soggetti dal vero, come anche le piante. “Volevo che trasmettesse il senso biologico di cose che crescono e si appassiscono, di foglie che nascono mentre altre muoiono” diceva il pittore di Two Plants, l’espressione forse più ambiziosa e risoluta di Freud su questo tema.
Tra il ritratto, nella prima sala, di Kathleen Garman – prima moglie di Freud – rappresentata con in mano un gattino, e quello che, nell’ultima sala, raffigura la stessa donna profondamente diversa (il visitatore scoprirà perché) scorrono ritratti di amici e amanti, di figli e di madri, che trascendono ogni idea canonica di bellezza.
Ci sono i lavori di Michael Andrews la cui fotografia diventa la base di ricerca per rappresentare lotte personali, ma anche momenti di profonda intimità e tenerezza, e c’è l’opera onirica di Paula Rego, bella e d’impatto come la Danza della vita o la Sposa realizzata con pastello su carta.
E soprattutto c’è il fascino di Londra, l’influenza esercitata dalla città sulle opere degli artisti, come si evince dai lavori di Auerbach e Kossoff, dal sublime, materico olio su tavola che ritrae la Christ Church Spitalfield, dalle atmosfere drammatiche che avvolgono Primrose Hill, con le sue pennellate audaci a trasmettere il movimento dei remi.
Un allestimento ben studiato, che lascia il giusto spazio all’intimo dialogo con le opere, consente di gustare i lavori con calma, di ascoltarli dialogando con essi. Simile ad un cerchio, il percorso espositivo si chiude riprendendo l’opera che ha per protagonista Kathleen Garman. Col passare del tempo le rappresentazioni di Freud sono diventate sempre più viscerali. È la pittura che si è fatta materia diventando “carne”.
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