Bartolomeo Pietromarchi. Photo Giorgio Benni
All’interno del Santuario della Madonna del Sorbo, poi, la mostra Epilogo presenterà 30 scatti e un documentario firmati dallo stesso Cricchi: una finestra aperta sul backstage di un intenso lavoro collettivo, abbraccio di arte, storia e natura nato con l’obiettivo di rivitalizzare i sentieri degli antichi pellegrini.
Ne parliamo con il direttore del MAXXI Bartolomeo Pietromarchi, nella giuria di Arte sui Cammini grazie a solidi trascorsi nel campo del contemporaneo applicato ai territori.
“Ho partecipato molto volentieri ad Arte sui Cammini perché prevedeva una tipologia di interventi d’artista che mi è molto vicina”, racconta Pietromarchi: “Avendo lavorato per anni su queste tematiche con la Fondazione Adriano Olivetti, conosco nel dettaglio quelle che sono le potenzialità ma anche le difficoltà di questo tipo di iniziative”.
“Rispetto ad altre esperienze simili – continua il direttore – in questa occasione ho trovato proposte di altissimo livello, che prendono attentamente in esame le criticità di un intervento permanente sul territorio e soprattutto tengono bene in considerazione quella che è la storia e il genius loci delle Vie Francigene del Lazio. Tutto il progetto mi è sembrato particolarmente centrato sia dal punto di vista di chi ha costruito il bando, sia da quello di chi ha risposto. Soprattutto mi ha colpito la perfetta interpretazione dell’equilibrio tra storia, geografia ed evocazione contemporanea da parte degli artisti”.
Quali erano gli obiettivi del bando e quali sono stati i criteri adottati per la selezione?
“L’obiettivo era riattivare i cammini storici del Lazio attraverso l’azione dell’arte contemporanea. Grazie ai segni e ai simboli distribuiti sul territorio dagli artisti, le strade della spiritualità che anticamente portavano i pellegrini a Roma possono trovare una nuova vita.
Perché gli interventi fossero davvero efficaci era indispensabile un’attenzione alle caratteristiche fisico-geografiche, storiche e culturali del luogo. Era necessario da parte degli artisti interpretare questi segni in modo discreto, perché potessero entrare realmente in dialogo con lo spirito delle Vie Francigene. Un tema molto delicato, poi. è quello della manutenzione e della permanenza nel tempo: abbiamo scartato progetti che non rispondevano a questi requisiti perché l’idea era quella di creare delle opere durature”.
Che cosa succede quando l’arte esce dal museo e si inserisce in un contesto storico-paesaggistico dotato di vita propria?
“Bisogna agire con esperienza e sensibilità perché si tratta di processi molto delicati. La parola chiave in questi casi è mediazione: saper ascoltare ed entrare in sintonia con il territorio. Altrimenti si rischia di cadere in quella che è la critica più frequente a questo tipo di interventi, e cioè che siano come astronavi calate dall’alto, senza nessun legame con il contesto che le ospita. In Arte sui Cammini ho notato invece una grande cura per la dimensione relazionale, come pure ho apprezzato la volontà programmatica di far vivere queste opere nel lungo periodo”.
A suo parere, ci sono ancora resistenze e pregiudizi da sfatare nel rapporto del contemporaneo con la storia e il paesaggio?
“Sicuramente, ci sono anche pregiudizi verso l’arte contemporanea tout court. In Italia c’è ancora moltissimo da fare e questi territori hanno scarsa esperienza del contemporaneo. È fondamentale quindi pensare a forme di mediazione che educhino le persone a comprendere e ad apprezzare i nuovi percorsi artistici. La speranza è che questa esperienza possa innescare dei processi capaci di andare avanti nel tempo, perché le iniziative una tantum rischiano di rimanere fini a se stesse”.
Spostiamoci un attimo dalla parte del pubblico: Arte sui Cammini trasformerà l’esperienza di una passeggiata sulle Vie Francigene del Lazio?
“Lo verificheremo sul campo, anche in rapporto ai singoli interventi: probabilmente non tutti innescheranno nel pubblico le stesse reazioni. Credo che sia molto importante seguire il feedback dei visitarori man mano che gli interventi vengono presentati: al momento ne sono stati inaugurati quattro o cinque rispetto agli otto previsti. E poi bisogna vedere come vengono vissuti nel tempo.
La fruizione è un’esperienza molto personale, non ci sono regole valide per tutti. Però c’è la speranza che queste opere possano muovere in ognuno riflessioni ed emozioni nuove, che abbiano anche un risvolto sociale e collettivo: così il territorio può acquistare identità, valore e attenzione”.
Three Gates of IN-Perfection è un progetto promosso da Fondazione Allori con la direzione artistica di Associazione Culturale Bianca. È stato realizzato con il project management di Patrizia Paganin e la media partnership di ARTE.it, che ha contribuito anche alla sua ideazione.
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