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Botero a Palazzo Pallavicini con 50 opere inedite

Fernando Botero, Reclined man, 2002, pastello su tela, 103 x 69 cm, collezione privata dell’artista. Courtesy Palazzo Pallavicini

Bologna – “Non ho mai dipinto una donna grassa nella mia vita. Dipingo solo la sensualità, l’essenza dell’esistenza”.
Fernando Botero aveva dieci anni quando nel salotto di famiglia trovò una Divina Commedia con le illustrazioni di Gustav Doré. Per il giovane artista l’emozione fu talmente forte da imprimersi con forza nella sua memoria e poi in quelle figure divenute inconfondibili, permeate di audacia, sensualità e joie de vivre.
A sedici anni, sicuro della sua volontà di diventare pittore, sottopose alcuni disegni all’artista Rafael Sàenz che li apprezzò condividendo con lui le possibilità e la bellezza offerte dalla raffigurazione di quelle modelle mature dai corpi nudi.
Queste donne, accanto a musici e mendicanti, ladri, personaggi del circo – protagonisti di un ciclo dal fascino malinconico e poetico – gente comune e nature morte sfilano nella mostra che Bologna dedica all’artista colombiano, attraverso una cinquantina di opere mai viste prima nel capoluogo emiliano, provenienti dalla collezione privata dell’artista e comprendenti una serie di disegni realizzati a tecnica mista e alcuni acquerelli a colori su tela.

Tra le sale di Palazzo Pallavicini – dove il 26 marzo del 1770 si esibiva un giovanissimo Wolfgang Amadeus Mozart – un percorso scandito in sette sezioni, a cura di Francesca Bogliolo in collaborazione con l’artista, presenta ai visitatori, fino al 26 gennaio, l’occhio poetico con cui il maestro conduce la propria indagine sul mondo. Prende così forma un visionario inno all’esistenza attraverso una bellezza fatta di volumi abbondanti, colori avvolgenti, iconografie originali e soprattutto il disegno, fondamento della forma e imprescindibile strumento di bellezza.

Libertà creativa e monumentalità rappresentano il fil rouge dell’appuntamento bolognese, che è anche un viaggio nella vita di Botero, inscindibilmente legata alla carriera.
A sette anni, dal balcone di casa, Fernando bambino assiste al funerale dell’Arcivescovo Caicedo. Anche questa volta i dettagli legati a quella drammatica scena – il pallore del defunto, le divise verde oliva delle autorità civili, le espressioni imperturbabili dei sacerdoti – restano così a lungo impresse nel suo sguardo, da diventare presenze costanti nella pittura dell’artista, dove la dimensione religiosa assume cadenze quotidiane.

Anche la sezione dedicata alla tauromachia, spiega il pretesto che avvicina Botero a questo universo. Ha dodici anni quando suo zio Joaquìn lo iscrive alla scuola di tauromachia di Medellìn, in piazza della Macarena. Così il futuro pittore entra in contatto con l’antica lotta tra uomo e toro, metafora di vita e morte, che prima di lui aveva affascinato Goya, Picasso, Mirò. Un entusiasmo precoce destinato tuttavia a svanire quando, di fronte a un torello, l’artista intuisce che la sua vera vocazione è solo quella di dipingerlo.

La vita perennemente precaria dei circensi – sospesi tra il reale e l’onirico, ma nelle tele del maestro in stabile equilibrio sul filo della bellezza – sfuma nella sezione della mostra dedicata al colore. Dipingere, per Botero, è prima di tutto una necessità che asseconda una spinta interiore che continua, ancora oggi, a esercitare la sua energia.
Per l’artista non esistono ombre, ma solo la forma e i colori tenui, la linea che definisce ampi spazi.

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