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Dal museo alla strada. La fotografia partecipativa protagonista del Gibellina Photoroad

Joan Fontcuberta, Gibellina selfie. © Joan Fontcuberta. Courtesy Gibellina Photoroad 2019

Trapani – Un murales immenso composto da 6075 mattonelle di selfie, immagini, foto di feste, viaggi e vacanze cuce lo sguardo a tre occhi che racconta tre generazioni di gibellinesi.
Sono attimi di vita, frammenti di storie che gli abitanti stessi del piccolo comune del trapanese – che deve all’arte la propria miracolosa rinascita dopo il terremoto del 1968 – hanno inviato al fotografo catalano Joan Fontcuberta che ne ha realizzato il più grande foto-mosaico murale al mondo. Fontcuberta ha scelto la ceramica, il più durevole dei materiali, per raccontare la post-fotografia, la smaterializzazione delle immagini al tempo dei social network.
Questa gigantesca opera collettiva permanente (13 metri per 3,5) dal titolo Gibellina Selfie sarà svelata e donata alla cittadina siciliana martedì 23 luglio in occasione del “Gibellina Photoroad”, il primo festival di fotografia “open air” e “site specific” d’Italia, in programma dal 26 luglio al 31 agosto.
Parole d’ordine di questa, come della scorsa edizione, arte pubblica, interazioni, nuove visioni.

Organizzato dall’associazione culturale On Image e co-organizzato dalla Fondazione Orestiadi, con la direzione artistica di Arianna Catania e il patrocinio del Comune di Gibellina, con main partner Festival Images Vevey, sarà un’occasione importante per ammirare alcuni fra i lavori fotografici più interessanti degli ultimi anni, presentati nello spazio urbano con visionari e innovativi allestimenti “all’aperto”, alla ricerca di nuove interazioni con il pubblico.

“Il festival – spiega il direttore artistico Arianna Catania – nasce in continuità con la storia di Gibellina, città fondata sull’arte e sulla cultura come fattore di rinascita dopo il trauma del terremoto. Nasce anche dalla necessità di far uscire la fotografia dai confini del museo, avviando relazioni forti con il tessuto urbano. La città che diventa palcoscenico, luogo prediletto per accogliere immagini. E poi nasce dalla voglia di riportare l’attenzione internazionale su questo piccolo centro siciliano unico al mondo”.

Perché “unico”?

“Perché Gibellina nuova è un vero museo “a cielo aperto” con numerose opere d’arte e architetture di noti artisti. Questa città priva di inquinamento visivo e luminoso, in cui regna il silenzio, sorge a 15 chilometri dal vecchio centro, dove oggi giace il Cretto di Alberto Burri. Ed è la location perfetta per un festival open air in cui le installazioni sono pensate per lo spazio in cui sono allestite. In questo festival site-specific i lavori dialogano fortemente con le architetture uniche della città, trovando nuovi significati e visioni”.

Quest’anno arriveranno a Gibellina i grandi maestri della fotografia che dialogheranno con i più giovani. Potrebbe anticiparci qualche nome?

“Assisteremo a 33 mostre, delle quali venti allestite per strada. Vedremo lavori di Joan Fontcuberta, Moira Ricci, Mario Cresci, Tobias Zielony, Mustafa Sabbagh, Taiyo Onorato e Nico Krebs, Nicolas Polli solo per citarne alcuni. Nella maggior parte dei casi si tratterà di progetti inediti, presentati per la prima volta e pensati per la città”.

Quella di quest’anno sarà la seconda edizione del Festival. In cosa si differenzia dalla prima?

“Questa seconda edizione presenterà esposizioni maggiormente in connessione con la città, con la sua storia, con i suoi abitanti, con dei veri e propri progetti di arte partecipata. Inoltre due opere – il gigantesco foto-mosaico di Joan Fontcuberta e lo spettacolare collage colorato a mano di Moira Ricci – saranno due lavori permanenti che si andranno ad aggiungere all’immenso patrimonio del Comune di Gibellina. Altra grande novità di quest’anno è la presenza, come main partner, dell’Images Vevey, importante festival svizzero che da dieci anni realizza monumentali esposizioni all’aperto e che per il festival Gibellina PhotoRoad è un modello di cosa vuol dire fare arte pubblica”.

Il tema di questa edizione è “Finzioni”. Una scelta che mette in discussione la semantica stessa di “realtà”…

“La dialettica tra realtà e finzione è da sempre il fondamento di tutte le arti. La realtà offre spunti alla fantasia e viceversa. Ma di quale verità stiamo parlando? Tra tutte le arti la fotografia è la prima a usare la realtà. Ma la realtà stessa è una finzione, mezzo ambiguo per eccellenza. Il tema è anche un omaggio all’artista del nostro tempo, che si prende gioco di ciò che passa davanti ai suoi occhi, che ci svela infiniti, irriducibili, contraddittori aspetti del reale, rendendolo grottesco o talmente perfettamente falso da sembrare reale” .

Si tratterà di una mostra “diffusa” sviluppata su più sedi. Ci sarà un percorso “obbligato”?

“Le mostre sono tutte contrassegnate da numeri-punti nella mappa e le location saranno dieci. Ogni spazio ospiterà più mostre più mostre. Inoltre saranno indicate sulla mappa le 50 opere e sculture permanenti della città”.

Sulla scia dell’arte partecipativa, anche l’artista toscana Moira Ricci ha lavorato con le oltre mille fotografie tratte dagli album di famiglia che i cittadini le hanno mostrato, per ricordare e raccontare la vita della città prima del terremoto. Da questo immenso patrimonio la Ricci ha messo in moto la sua fantasia che ha prodotto una spettacolare istallazione di dieci metri di altezza per tre di larghezza, composta da un collage dipinto a mano con ritratti volti, memorie e ricordi di un tempo passato, in cui lo spettatore può immergersi e sentirsi parte di una comunità in cammino alla ricerca di un nuovo inizio. Installata a Palazzo di Lorenzo – gioiello architettonico di Francesco Venezia – Andata e ritorno (questo il titolo del lavoro) è un’opera che ne contiene tante altre, nella quale si è attori e al tempo stesso spettatori di un grande spettacolo collettivo.
Mario Cresci sceglierà invece il cortocircuito tra passato e presente come filo conduttore della sua installazione. Per Gibellina PhotoRoad l’artista prenderà inspirazione dalla storia della città connettendo il 1968 – anno in cui raccontò i terremotati del Belice e le loro proteste a Roma – al 2018, in cui descrive la città simbolo di quella catastrofe nel cinquantesimo anniversario.

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Fonte

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