Il programma Art Night, in onda su Rai5 tutti i venerdì alle 21.15, dal18 ottobre, è stato ideato da Silvia De Felice,insieme ad Alessio Aversa e Marta Santella, con la regia di Andrea Montemaggiori.
Il progetto, condiviso con Silvia Calandrelli, direttore di Rai Cultura
, si inserisce nel palinsesto settimanale della rete, che si distingue per una proposta tematica ben riconoscibile e con forte identità, cadenzata in base al giorno: il lunedì la letteratura, il martedì il cinema internazionale d’autore, il mercoledì le grandi icone del rock, del jazz, del cinema, il giovedì la musica lirica e sinfonica, il sabato il teatro, la domenica l’ambiente e i viaggi. E naturalmente venerdì appuntamento con l’arte. Ne parliamo con Piero Corsini, direttore di Rai5.
Quale sarà il tema della prima puntata di Art Night ?
“La prima puntata si apre con un prodotto originale di cui siamo particolarmente fieri, Ombre elettriche, che è il racconto – pensato e realizzato da Giuseppe Sansonna, con la consulenza di Alessandro Masi – di tre cavalli di razza della pittura italiana del secondo dopoguerra, Tano Festa, Franco Angeli e Mario Schifano. Il racconto della loro opera si inscrive nella strepitosa Roma degli anni Sessanta, di cui la loro biografia attraversa non solo l’oleografia di via Veneto e della Dolce Vita, ma anche i lati più oscuri.
È una pagina di storia dell’arte magari un po’ dimenticata, a prima vista di non facile lettura, e che invece, grazie alla bravura di Sansonna, si dispiega come il racconto appassionante di tre grandissimi talenti che, non senza sofferenza, hanno lasciato sulle loro tele il segno, le emozioni, l’intelligenza di quello snodo cruciale del XX secolo.
Nel percorso immaginato da Art Night, dove la conduzione di Alessio Aversa funge da cerniera e impaginazione, la seconda parte di questa puntata offre il ritratto di un altro protagonista di quegli anni, il fotografo inglese David Bailey, i cui scatti hanno fissato su pellicola le icone di quell’epoca così rivoluzionaria anche per il gusto e la moda.”
Negli ultimi anni i documentari d’arte vivono una nuova stagione felice in televisione e al cinema. In questo ambito, la RAI gioca un ruolo di primo piano con alcune grandi produzioni. Come spiega questo fenomeno? A suo avviso è aumentata la domanda da parte del pubblico di contenuti legati all’arte e al patrimonio d’arte italiano?
“A mio avviso, la si potrebbe leggere come una congiunzione astrale molto felice. Per partire dalla fine della domanda, da un lato abbiamo una continua valorizzazione di quello straordinario giacimento di risorse che è il nostro patrimonio artistico. Si pensi a un’eccellenza della RAI qual è, ad esempio, Alberto Angela e i suoi programmi: hanno dato un contributo fondamentale alla (ri)scoperta delle meraviglie che, ovunque nel nostro Paese, sono appena dietro l’angolo. Impeccabile la ricostruzione, ricchissima la produzione, semplice ma approfondito il racconto.
Da un altro lato, abbiamo il ritorno dei documentari sul grande schermo. Un tempo, erano vissuti come un’insopportabile aggiunta al film che si era andati a vedere (ricordo, da bambino, certi documentari di natura dopo i cartoni animati di Walt Disney); oggi sono uno spettacolo a sé, nella ritrovata consapevolezza che ogni piattaforma distributiva offre qualcosa di esclusivo: se RaiPlay offre la possibilità di scegliersi il prodotto che si preferisce, a qualunque ora e in qualunque luogo, il cinema continua a regalarci la magia della sala buia illuminata dallo schermo enorme, e dunque anche il documentario diventa, appunto, uno spettacolo straordinario.
Infine c’è quel che si accenna nella prima parte della domanda, ovvero la stagione felice che il documentario sembra vivere. In realtà, si è innescato su questo genere un circolo virtuoso. Il moltiplicarsi dei canali distributivi ha reso drammaticamente evidente quel che già l’avvento delle pay tv aveva preannunciato: c’è troppo poco prodotto. Da un canale all’altro, da una piattaforma all’altra, sono sempre gli stessi contenuti che continuano a girare come criceti nella ruota. C’è fame di prodotto, di tipologie diverse di generi. E la confusione dei tempi che viviamo alimenta il bisogno di conoscenza, di approfondimento, proprio come la saturazione del consumo (unita alla crisi economica) porta alla necessità di fermarsi, di riflettere, di guardarsi dentro e intorno.”
Come è nata l’idea del programma tv Art Night ?
“Quando ho assunto la responsabilità di Rai5, due anni fa, insieme al Direttore di Rai Cultura, Silvia Calandrelli, ci siamo chiesti quale potesse essere la prospettiva da dare a questo canale. Rispetto a mie precedenti esperienze professionali (La Storia siamo noi dal 2002 al 2012, Rai Italia dal 2012 al 2017, per citare le ultime in ordine di tempo), dove avevamo dovuto costruire tutto ex novo, a Rai5 ho avuto la fortuna di trovare un progetto estremamente ben strutturato, costruito benissimo, peraltro con una squadra formidabile: ogni serata ha un’identità e un’offerta ben riconoscibile, identificante, fidelizzante. Il lunedì la letteratura, il martedì il cinema internazionale d’autore, il mercoledì le grandi icone del rock, del jazz, del cinema, il giovedì la musica lirica e sinfonica, il sabato il teatro, la domenica l’ambiente e i viaggi.
Il venerdì era la serata dell’arte: con Silvia De Felice, che è l’anima e l’ideatrice di Art Night, abbiamo pensato di proporre a Silvia Calandrelli una serata maggiormente tematizzata, che articolasse le due ore del prime time in un racconto in sé compiuto, quasi a proporre allo spettatore, ogni venerdì, un viaggio in uno specifico racconto di quel libro infinito che è l’arte in tutte le sue declinazioni: pittura, scultura, fotografia, architettura, design.”
Quali saranno i temi trattati nel corso delle puntate e qual è il taglio editoriale del programma tv ?
“Art Night si propone di raccontare l’arte in tutte le sue declinazioni; ma, soprattutto, il punto di partenza è quella che definirei la necessità dell’arte. Vale cioè anche per il venerdì di Rai5, cioè appunto per l’arte, quel che vale per tutte le altre serate: la speranza di trasmettere agli spettatori una passione per la cultura come elemento indispensabile della formazione di un individuo, della sua coscienza di cittadino del mondo e del suo tempo. Parafrasando il famoso monologo di Gordon Gekko nel film Wall Street, “La cultura è bella, la cultura vivifica, fortifica”.
L’arte non è un privilegio per pochi: non nasce come tale, bensì nasce – sin dalla preistoria e dalle pitture rupestri – per rispondere a un bisogno primordiale di ogni essere umano, che è poi quello di lasciare traccia di sé e della propria vita anche al di là della morte. È un clamoroso errore pensare che la cultura, e in particolare l’arte, siano “di nicchia”: non solo perché i visitatori che si affollano, sempre crescenti, nei musei e alle mostre smentiscono definitivamente questa stupidaggine, ma perché un Paese che – ad ogni livello, e dunque anche nel Servizio Pubblico – disinvestisse nella cultura rinuncerebbe al proprio futuro. La formazione delle nuove generazioni, così globali e interconnesse, deve necessariamente passare per la conoscenza e il confronto tra le diverse culture e ciò che esse hanno prodotto. È partendo da qui che, nel piccolo di un programma televisivo, Art Night si propone di proporre l’arte come qualcosa di accessibile, che è bello da vedere ma che tocca il cuore di chiunque, e che, in ultima analisi, ci consegna un’altra chiave per leggere il mondo che ci circonda.”
Il contenitore ospiterà esclusivamente documentari prodotti da Rai Cultura o anche co-produzioni con altri broadcaster internazionali e documentari acquistati? Ci può fare degli esempi?
“Coerentemente con le altre serate di Rai5 (ma anche dell’altro canale di Rai Cultura, RaiStoria), anche Art Night alternerà produzioni originali con prodotti stranieri, siano essi d’acquisto o in co-produzione. Del resto, se posso permettermi una nota autobiografica, questa è stata un po’ la cifra di tutto il mio percorso professionale, nel senso che mentre mi rendo conto che ci sono storie che, per ragioni diverse, è impossibile raccontare con i soli mezzi interni, dall’altra parte ce ne sono altre che solo la straordinaria capacità produttiva della RAI può affrontare, non tanto e non solo per i mezzi, quanto semmai per il talento, la sensibilità, l’intelligenza di chi lavora in azienda. Valorizzare queste risorse è un dovere – ma prima ancora un privilegio – per chi vi ricopre ruoli di responsabilità, così come occorre tenere occhi e orecchie aperte alle suggestioni e alle proposte dei documentaristi italiani, giacché anche investire nell’industria nazionale dell’audiovisivo è un preciso compito del Servizio Pubblico. Quanto agli esempi di produzioni interne, penso, per citare qualche titolo alla rinfusa, a Parmigianino, laddove l’istituzione di Parma Capitale della Cultura 2020 ci offre l’occasione per riscoprire un gigante della pittura, oppure all’incredibile lavoro svolto dai Carabinieri per il recupero delle opere d’arte, sia quelle rubate che quelle martoriate da catastrofi naturali come i terremoti.”
Le produzioni originali di Rai Cultura saranno distribuite anche all’estero? Crede che l’Italia possa incidere sul mercato internazionale dei documentari d’arte con delle storie universali?
“Certo, e in questo senso siamo fortunati ad avere come sponda commerciale la nostra consociata RaiCom, che da qualche anno si sta muovendo con particolare vigore e intelligenza su questo fronte. Che poi la visione italiana dell’arte sia particolarmente appetibile all’estero mi sembra quasi scontato: non dimentichiamoci che siamo il Paese che, da solo, possiede il 60% del patrimonio artistico mondiale, dunque è qualcosa che, a dispetto di tutto, fa parte del DNA di tutti noi, sin dalla nascita.”
A suo avviso, c’è un modo per attualizzare la narrazione televisiva legata ai temi d’arte? In quale direzione vanno i gusti del pubblico?
“Assolutamente sì, in parte per il discorso che facevo prima, in parte perché, se posso, andrebbe discussa proprio la premessa della domanda. Chi l’ha detto che la narrazione televisiva dell’arte debba essere necessariamente “non attuale” e “non moderna”? Non è il contenuto che porta con sé il tipo di narrazione, è l’approccio. Venticinque anni fa, con due programmi come Top Secret e La Grande Storia in prima serata, fu Giovanni Minoli a dimostrare che la Storia – fino ad allora considerata un genere di bassissimo ascolto – poteva essere popolare e di grande richiamo per il pubblico: poi vennero appunto, sempre con Minoli, La Storia siamo noi e addirittura RaiStoria, oltre agli epigoni delle pay tv.
Io non credo che il pubblico abbia preconcetti, né gusti pre-ordinati. Sta a chi lavora in televisione, giorno dopo giorno, proporre e stimolarne il gusto e, volendo tenersi sul linguaggio gastronomico, l’appetito. E poiché l’appetito vien mangiando… Più seriamente: non ho formule magiche da offrire. La meraviglia di questo lavoro è che siamo degli artigiani che, ogni volta, produciamo dei prototipi: applichiamo la nostra passione, la nostra competenza, il mestiere acquisito, un po’ di talento (se c’è), e cerchiamo di proporre un racconto che, noi per primi, vorremmo vedere. Mai presumendo che il nostro spettatore sia più o meno intelligente di noi, più o meno colto, ma, semmai, cercando di condividere con lui ciò che ci ha incuriosito, affascinato, quello che abbiamo scoperto, o capito.”