Paul Gauguin, Autoritratto con Cristo giallo, 1890-91, olio su tela, Parigi, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (musée d’Orsay) / René-Gabriel Ojéda
Per la prima volta la National Gallery dedica una mostra che descrive, attraverso oltre 50 opere – tra dipinti, stampe, sculture – il senso del ritratto per Paul Gauguin: uno strumento per raccontare se stesso, la contraddittorietà dei mondi interiori, ma soprattutto le idee dell’artista sull’arte.
Dal 7 ottobre al 26 gennaio 2020, Gauguin Portraits, prodotta da Credit Suisse, accoglierà prestigiosi capolavori in prestito da illustri musei e collezioni private di tutto il mondo, dal Musée d’Orsay di Parigi alla National Gallery of Art di Washington, dal The Art Institute of Chicago al Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tokyo.
L’approccio dell’artista, caratterizzato dall’impiego di colori intensi e dall’interesse per i soggetti non occidentali, ha esercitato una grande influenza sui colleghi – da Henri Matisse a Pablo Picasso – tra la fine del XIX e il XX secolo.
Al centro della mostra saranno i ritratti realizzati durante il soggiorno in Bretagna e nella Polinesia francese, dalla metà del 1880 al 1903, che esprimono tutto il fascino esercitato da comunità vicine alla natura, distanti dall’industrializzazione di Parigi.
La prima sala, dedicata agli autoritratti, accoglie anche il vaso-autoritratto in arenaria smaltata, in arrivo dal Musée d’Orsay di Parigi, in cui l’artista si rappresenta con il pollice tra le labbra, un tratto tipicamente infantile, espressione di una disarmata innocenza.
Al periodo trascorso in Bretagna, nel remoto villaggio di Le Pouldu – durante il quale realizzò diversi ritratti di amici conosciuti a Parigi e di familiari, come Madame Mette Gauguin raffigurata in Abito da sera (prestito del Museo Nazionale di Arte, Architettura e Design di Oslo) – segue la sezione dedicata alle difficili relazioni intattenute da Gauguin con gli altri artisti, in particolare con Vincent van Gogh e Meijer de Haan. Nella Sala 3 è possibile ammirare, tra le altre opere, il busto in legno di de Haan, in arrivo dalla National Gallery of Canada.
E ancora il ritratto di Teha’amana a Tahura si affianca a quello, realizzato in Bretagna, che mostra una giovane donna bretone in preghiera con indosso un abito missionario tahitiano.
Il percorso allestito alla National Gallery accoglierà anche una selezione di ritratti nei quali Gauguin utilizzava oggetti simbolici, disposti in nature morte, per rappresentare figure assenti. Non mancano i lavori che descrivono Van Gogh, suo ex amico, morto da un decennio, e che ritraggono le fioriture dei semi di girasole inviati dalla Francia.
La sezione finale dell’esposizione sarà invece dedicata ai ritratti dell’ultimo Gauguin, che hanno giocato un ruolo importante negli ultimi anni trascorsi dall’artista sull’isola di Hiva Oa.
A chiudere il percorso sarà il suo ultimo autoritratto, forse il più semplice e diretto di tutti, probabilmente realizzato poco prima della morte, in arrivo a Londra dal Kunstmuseum di Basilea.
“Gauguin – è il commento di Christopher Riopelle, co-curatore della mostra – ha radicalmente ampliato i parametri della ritrattistica. Comprese quanto l’arte moderna fosse espressione della personalità individuale, e si rese conto che il ritratto doveva servire da specchio per gli universi interiori”.
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