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I sei falsari più famosi della storia dell’arte

Alcuni, come Wolfgang Fischer, hanno agito addirittura in coppia, come i Bonnie e Clyde dell’arte, armati di matita. Ma anche di tubetti di colore, talvolta troppo moderni, come il bianco utilizzato da Fischer per realizzare un presunto Campendonk, o forse un Max Ernst, che tradì il re dei falsari contenendo, senza menzionarlo sull’etichetta, un componente al titanio, certo anacronistico per l’epoca degli artisti.

Diabolici, spregiudicati, ma soprattutto abilissimi nell’imitare, oltre che nel creare capolavori mai visti, attribuendoli ai grandi Maestri, versatili nel riprodurre con estrema naturalezza opere, dal punto di vista stilistico, lontane nel tempo, tavole invecchiate al sole, cotte addirittura in forno, per apparire più autentiche, i Lupin dell’arte hanno raggirato per anni critici esperti e case d’asta, galleristi e direttori di musei.

Alcuni di questi perfetti studiosi e conoscitori di materiali, epoche, stili sono ancora a piede libero, altri sono scomparsi in circostanze misteriose. Qualcuno di loro è riuscito ad affibbiare i propri falsi persino ai nazisti, indirizzando, per cifre da capogiro, autentiche “croste” nella collezione privata del “terribile” Hermann Göring.

Da Wolfgang Fischer a Mark Landis, ecco i cinque falsari più famosi della storia dell’arte.


Wolfgang Beltracchi, Quadro rosso con cavalli, Attribuito a Heinrich Campendonk

• Wolfgang Beltracchi, tradito da un tubetto di bianco
I falsi di Wolfgang Fischer, alias Wolfgang Beltracchi, sarebbero circa 300. Dal 2015 il falsario che ha raggirato in un colpo solo galleristi e case d’asta, periti e collezionisti di livello internazionale, e che ha legato il proprio nome a Maestri come Max Ernst, Max Pechstein, André Derain è tornato in attività, ma adesso firmando i quadri con il proprio nome e agendo in totale legalità.

Eppure il falsario tedesco, classe 1951, i singoli quadri degli artisti celebri non li ha mai replicati. Tendeva piuttosto a creare pezzi unici, attribuendoli a maestri famosi, perfettamente contestualizzati nella loro epoca. Con la complicità di sua moglie Helene, Wolfgang selezionava scrupolosamente pigmenti e tele in modo che risultassero coerenti con il periodo storico dell’opera che voleva riprodurre.
Beltracchi si vanta di aver raggiunto, attraverso i suoi quadri, i musei più famosi al mondo, molti dei quali sono probabilmente ancora ignari della truffa messa in atto dalla coppia.
A tradirlo, mentre dipingeva Quadro rosso con cavalli, attribuendolo a Heinrich Campendonk, sarebbe stato un tubetto di bianco che conteneva una piccola quantità di titanio, che però non era indicato nell’etichetta, anacronitico per l’epoca del suo artista.


Han van Megeeren (Deventer, 10 ottobre 1889 – Amsterdam, 30 dicembre 1947), Cristo e l’adultera, Attribuito a Johannes Vermeer

• Han van Meegeren e il Vermeer venduto a Hermann Göring
Il suo artista preferito era Vermeer, ed è per questo che, del pittore olandese Han van Meegeren realizzò in tutto sei quadri. Ma come lavorava uno dei falsari più celebri della storia dell’arte? Andava a caccia di vecchie tele del Seicento, senza alcun valore, vi raschiava con cura il colore e stava ben attento a non copiare opere di Vermeer esistenti.
E soprattutto facendo cuocere le tele in forno, a cento gradi per due ore. Grazie alle abili tecniche di falsificazione apprese da Theo Van Wijngaarden, anche lui noto falsario attivo ad Amsterdam, Han van Meegeren riuscì a creare dipinti mai visti da nessuno, accolti dai critici come capolavori straordinari.

Oltre a vendicarsi di coloro che da giovane lo avevano considerato un pittore fallito, il ritrattista olandese Han van Meegeren riuscì a raggirare persino il capo delle SS Heinrich Himmler, vendendogli dipinti non autentici per cinque milioni e mezzo di fiorini. Il falsario era riuscito a farla franca persino con il temibile Hermann Göring, il principale luogotenente di Hitler, facendo entrare nella collezione dei nazisti, e per giunta per una cifra enorme, un falso Vermeer, Cristo e l’adultera.
Nel maggio del 1945 fu arrestato con l’accusa di aver collaborato con i nazisti. Processato in Olanda due anni dopo, riuscì ad evitare l’ergastolo riconoscendo la sua professione di falsario che mise in atto dipingendo, nell’aula del tribunale, un Gesù nel tempio. Morì il 30 dicembre del 1947 lasciando in eredità i tanti dubbi che tuttora perseguitano gli studiosi quando si accingono a pubblicare studi sulla pittura olandese del Seicento.


Un dipinto di Mark A. Landis (USA 1955) attribuito a Charles Courtney Curran, donato al Hilliard University Art Museum | Courtesy Paul and Lulu Hilliard University Art Museum

• Mark Landis, il falsario “filantropo”
Per oltre trent’anni questo falsario “filantropo”, tra i più prolifici degli Stati Uniti, si è preso gioco di esperti e professionisti dell’arte con croste che spaziano dagli artisti del Quattrocento a Picasso. La strategia per riempire delle sue opere musei e gallerie era sempre la stessa: offrirle in regalo spacciandole per capolavori originali.
E così spesso Landis bussava alle porte dei musei fingendosi un prete gesuita, prendendo spunto dal film Il Cigno, del 1956 con Grace Kelly.

Negli anni, affinché le sue truffe andassero in porto, assunse diverse identità, cambiando più volte indirizzo. Nel 2008 il falsario americano donò a Matthew Leininger – curatore dell’Oklahoma City Museum of Art – una serie di opere contraffatte tra cui un acquerello con la falsa firma di Louis Valtat, un pittore amico di Henri Matisse. E questi fu il primo a svelarne i raggiri.


Una Madonna col Bambino di Icilio Federico Joni, alias PAICAP (Siena, 1866 – 1946)

• Icilio Federico Joni e la sigla misteriosa sui dipinti del Trecento
Soprattutto con le sue Madonne ispirate allo stile di Duccio di Boninsegna e di Simone Martini, realizzate con tavole lasciate invecchiare e sottoposte, sul terrazzo di casa, all’azione degli agenti atmosferici, Icilio Federico Joni fu il caposcuola dei falsari senesi.
A lungo la sigla “PAICAP” che compariva misteriosamente in numerosi dipinti trecenteschi (presenti al Metropolitan di New York come a Dublino), restò un enigma. Quando Kenneth Clark sollevò dei dubbi circa l’autenticità dei dipinti, il significato dell’acronimo risultò chiaro: “Per Andare In C* Al Prossimo”. Era il “sigillo” di Icilio Federico Joni.

• Robert Driessen e Giacometti
Nato ad Arnhem, nei Paesi Bassi, Robert Driessen scoprì a sedici anni di avere un talento naturale per l’arte e decise di farne un mestiere. Inizialmente ritraeva barche, canali e mulini a vento. Più tardi iniziò a comprare nei mercatini alcuni dipinti antichi ai quali toglieva la cornice per intervenire sulla tela. Dal 1987 iniziò a dedicarsi alla scultura.
Copiando lo stile di artisti famosi è diventato uno dei falsari dell’arte più celebri al mondo.
Il suo Maestro prediletto era Alberto Giacometti e per questo, specializzatosi nello stile dello scultore svizzero, riuscì negli anni ad ingannare musei, gallerie e case d’aste.
Da poco ha ripreso in mano il pennello, questa volta sfornando riproduzioni originali, tutte firmate Robert Driessen.


Eric Hebborn (20 marzo 1934 – 11 gennaio 1996), La mietitura ad Anticoli Corrado, 1995, Collezione privata | Courtesy Museo Anticoli

• Eric Hebborn e i disegni del Rinascimento
Quando i critici mostrarono di non apprezzare i suoi lavori, il pittore inglese Eric Hebborn iniziò a copiare lo stile dei grandi Maestri come Mantegna, Van Dyck, Poussin, Rubens, Jan Breughel, Piranesi. Le sue opere, considerate da molti storici d’arte autentici capolavori, stilisticamente brillanti, furono vendute per decine di migliaia di sterline attraverso diverse case d’asta.
Eric Hebborn produsse oltre mille disegni ispirati al Rinascimento, utilizzando una tecnica che rendeva i suoi lavori molto vicini agli originali.

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Fonte

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