Con il suo labirinto di canali, chiese e palazzi storici oggi Bruges è una città gioiello, come testimonia l’inclusione del delizioso centro storico nell’Unesco World Heritage. Ma la sua bellezza affonda le radici nella cosiddetta Epoca d’Oro, tra il XIV e il XV secolo, quando sotto i duchi di Borgogna la Perla delle Fiandre si riempì di artisti e artigiani, che con capolavori assoluti la resero degna capitale del regno. Passeggiare tra le sue stradine medievali, visitare musei e luoghi di culto significa fare un tuffo nel passato, immaginando Jan van Eyck inseguire la luce col pennello e i più dinamici businessmen toscani intenti a discutere sulla Piazza del Mercato.
Per saperne di più, partiamo per un viaggio attraverso i secoli insieme a Maximiliaan Martens, storico dell’arte e curatore della mostra più attesa del 2020 nelle Fiandre: Van Eyck. An Optical Revolution, che sta preparando insieme a Till-Holger Borchert e Jan Dumolyn per il Museo di Belle Arti di Gand.
“Nel XIII secolo Bruges era una capitale del commercio internazionale paragonabile all’odierna New York”, spiega Martens: “c’erano banchieri e commercianti provenienti da tutta Europa convenuti in città per curare i loro affari. Vi si poteva trovare ogni tipo di merci, dalla lana che dalle Fiandre veniva inviata in altri paesi europei a prodotti importati da tutto il continente. Insomma, se Bruges divenne nota come la ‘Venezia del Nord’ non fu solo per i suoi canali, ma anche per la sua posizione centrale nelle rotte commerciali dell’epoca. È qui che nel Quattrocento ebbero luogo anche le prime transazioni finanziarie in senso moderno, e precisamente nella casa della famiglia van der Bourse. La parola ‘Borsa’ deriva proprio dal loro nome”.
“La corte dei duchi di Borgogna – continua il professore – aveva anche una grande importanza a livello diplomatico: qui per iniziativa di Filippo III nel 1430 fu creato l’Ordine del Toson d’Oro, che raccoglieva i più alti ranghi della nobiltà europea, dall’Olanda al re d’Inghilterra.
Una simile concentrazione di ricchezza, benessere e prestigio non poteva non attrarre in città un gran numero di artisti, come Jan van Eyck, arrivato nel 1430, e Hans Memling che vi risiedette dal 1464”.
Quali sono le più importanti testimonianze dell’Epoca d’Oro ancora visibili in città?
“Di questo periodo restano a Bruges molte chiese e architetture civili, in pratica la maggior parte dei soggetti che oggi possiamo ammirare nelle cartoline: primo tra tutti, il Beffroi, la torre civica simbolo dell’orgoglio cittadino che domina la Piazza del Mercato, non lontano dalla quale si trova anche la storica casa della famiglia van der Bourse. A questi monumenti si alternano edifici neogotici costruiti secondo la moda ottocentesca, mentre il turismo iniziava lentamente a decollare in città.
In architettura abbiamo avuto anche influenze straniere: dall’Europa dell’Est, dalla Catalogna e dalla Scozia, così come dalle comunità basche ed ebraiche, ma molto è andato perduto. Tra i documenti più interessanti troviamo ancora la Loggia dei Genovesi e il Quartiere Anseatico, entrambi testimoni del clima cosmopolita che si respirava in città”.
Quali furono i rapporti di Bruges con l’Italia del Rinascimento? Ci furono scambi artistici?
“Già nel XIII secolo erano molti i mercanti e i banchieri italiani di stanza a Bruges. Tra i più conosciuti c’era la famiglia Arnolfini di Lucca, il cui nome oggi è associato a un celebre ritratto di van Eyck. I Portinari di Firenze, rappresentanti del Banco dei Medici, presto iniziarono a inviare in patria esemplari di arte fiamminga, come il Trittico Portinari di Hugo van der Goes per l’ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova, oggi agli Uffizi, che ebbe una notevole influenza sul Ghirlandaio. Le commissioni dalla Toscana fioccavano, a partire dai ritratti di Memling ordinati dai Portinari e dai Tani.
Il ritratto in stile fiammingo ebbe grande fortuna a Firenze e a Venezia, dove le opere arrivate dal Nord attrassero l’attenzione dei Bellini. La fama degli artisti fiamminghi raggiungeva l’Italia anche grazie alla diffusione delle acqueforti: la reputazione dei pittori delle Fiandre era decisamente alta. In tutto questo periodo le influenze furono sostanzialmente unidirezionali. Bisognerà aspettare il Cinquecento per parlare di un vero e proprio scambio.
Intanto in Italia cresceva la leggenda di Jan van Eyck, considerato il padre della pittura a olio…”.
È una leggenda fondata? Quale fu il contributo di van Eyck allo sviluppo della pittura?
“Van Eyck migliorò moltissimo la tecnica dell’olio (che già esisteva), a partire da innovazioni che la resero più pratica, per esempio elaborò un metodo per far asciugare velocemente i colori sulla tavola. Portò questo tipo di pittura alla perfezione, riuscendo a suggerire ogni texture, ogni materiale possibile e immaginabile, dai fiori all’oro, dal bronzo al legno o a vari tipi di stoffe. Con l’olio ottenne effetti impossibili per un dipinto a tempera: trasparenze, sfumature, passaggi impalpabili di luce e colore.
Inoltre studiò in che modo la luce viene assorbita o riflessa dai diversi materiali, attribuendole un’importanza pari a quella che oggi riveste per la fotografia. Con le mie ricerche sto cercando di trovare le prove della sua conoscenza delle teorie dell’ottica sviluppate dagli arabi, tradotte in latino nel XIII secolo e poi reinterpretate in chiave cristiana. Van Eyck usò queste teorie, che all’epoca erano insegnate nei corsi universitari di geometria. Riservò particolare attenzione al modo in cui le immagini si formano nell’occhio umano, con idee sulla percezione estremamente moderne.
I testi sull’ottica erano noti anche in Italia, dove sfociarono nell’invenzione della prospettiva lineare, mentre furono trascurati i fenomeni di riflessione e rifrazione della luce. Van Eyck al contrario si soffermò a studiare il comportamento della luce dappertutto, anche su superfici specchianti, vetri o recipienti pieni d’acqua”.
Che cosa accadeva nel frattempo a Lille and Bruxelles, le altre due capitali del Ducato di Borgogna?
“Quella di Borgogna era una corte itinerante: non aveva una sede fissa, ma si spostava di castello in castello, di città in città, muovendo ogni volta circa duemila persone ed esercitando una potente influenza in tutti i suoi domini. Tra il XIV e il XVI secolo Lille era parte delle Fiandre, e precisamente il centro amministrativo e finanziario del regno; come tale, ricevette un notevole impulso dalla presenza dei duchi. Nel 1440, invece, la corte si spostò a Bruxelles, che divenne la capitale del Ducato. Purtroppo sono rimaste veramente poche tracce della residenza dei duchi: l’attuale Royal Library e una cappella”.
Chi commissionava i capolavori dell’Epoca d’Oro, la corte o i mercanti? Le trasformazioni sociali di questo periodo si riflettono anche nell’arte?
“L’arte di corte era fatta quasi esclusivamente di arazzi e oreficerie, facilmente trasportabili, e quasi per nulla di dipinti. Questi erano commissionati prevalentemente da nobili, funzionari di corte e stranieri facoltosi, nonché dalle elite urbane borghesi che richiedevano soprattutto ritratti.
Tra il XIV e il XV secolo crebbe incredibilmente il numero di persone che acquistavano e collezionavano opere d’arte: i dipinti potevano ormai essere creati per il mercato, non dipendevano più dalle commissioni. È legata a questi cambiamenti anche la diffusione della pittura su tavola”.
Come se la passavano in questo periodo gli artisti fiamminghi? Godevano di uno status all’altezza delle loro creazioni?
“Nelle Fiandre gli artisti erano artigiani allo stesso modo di un panettiere o di un macellaio: per lavorare dovevano essere iscritti alle gilde, che assicuravano loro protezione in cambio di obblighi piuttosto rigidi. L’unica eccezione è rappresentata proprio da van Eyck, che operando alle dirette dipendenze del duca godette di autonomia e prestigio straordinari per l’epoca. Per esempio prese parte alla missione diplomatica inviata in Portogallo per le trattative del matrimonio di Filippo III il Buono con Isabella d’Aviz, la figlia del re, e là immortalò la sposa in un famoso ritratto.
Frequentando la corte di Borgogna e il suo milieu internazionale, diversamente dai suoi colleghi van Eyck entrava in contatto con quello che stava succedendo altrove, a Firenze per esempio, dove gli artisti godevano di uno status decisamente superiore. Questo gli diede una consapevolezza senza precedenti riguardo il suo ruolo: non a caso fu il primo a firmare e a datare i dipinti. In questo periodo nella storia dell’arte fiamminga troviamo centinaia di nomi di artisti, ma pochi possono essere collegati a opere precise, proprio perché non c’era l’abitudine di firmare”.
Come sarà presentato van Eyck nella mostra che sta preparando per il 2020 al Museo di Belle Arti di Gand?
“Sarà la più grande mostra mai realizzata su questo artista: riunirà capolavori conservati nelle Fiandre e importanti prestiti internazionali. Ripercorrerà il lavoro di van Eyck per temi, con sezioni dedicate al ritratto, alla Passione di Cristo, alla Madonna con Bambino, in un itinerario espositivo ancora da definire nei particolari. Come suggerisce il titolo An Optical Revolution, getteremo nuova luce sulla pittura del maestro proprio a partire dalle ultime ricerche sulla sua conoscenza della teoria dell’ottica.
In mostra ci saranno anche i pannelli esterni del famoso Polittico di Gand: finalmente i visitatori potranno ammirarlo a distanza ravvicinata, mentre di solito è visibile attraverso una teca di vetro, da una distanza di almeno tre metri…. oppure nelle immagini in alta risoluzione disponibili in rete. Un’occasione imperdibile, visti i tanti e accuratissimi dettagli presenti nell’opera!”.