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L’eterna bellezza di Canova in mostra a Palazzo Braschi

Specchi, candele, statue roteanti, marmi, bozzetti, modellini e gessi monumentali, di una bellezza che commuove, descrivono l’incontro tra Roma e Antonio Canova.
La mostra-evento accolta a Palazzo Braschi fino al prossimo 15 marzo, a cura di Giuseppe Pavanello, ripercorre attraverso oltre 170 opere incorniciate all’interno di un allestimento ben costruito e dal forte impatto visivo, il legame tra il maestro e la città eterna che, tra Sette e Ottocento, divenne la fucina del suo genio e un’inesauribile fonte di ispirazione.

Prestiti eccezionali, provenienti tra gli altri dall’Ermitage di San Pietroburgo, dai Musei Vaticani, dalla Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno, dal Museo civico di Bassano del Grappa, scandiscono le 13 sezioni facendo entrare il pubblico all’interno del contesto che l’artista trovò arrivando a Roma nel novembre del 1779, e dove rimarrà fino alla morte, sebbene con alcune interruzioni.

Il confronto dei marmi di Canova – come l’Amorino alato arrivato dall’Ermitage – con marmi antichi come l’Eros Farnese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, rievoca il rapporto tra antico e moderno, mentre l’Apollo del Belvedere e il Gladiatore Borghese dialogano con il Perseo trionfante e il Pugilatore Creugante del maestro.

Lungo il percorso espositivo in cui viene rievocata la calda atmosfera a lume di torcia con la quale l’artista di notte era solito mostrare le proprie opere agli ospiti, il marmo diventa carne e i capolavori dell’eterno maestro dialogano con i lavori realizzati dai migliori artisti presenti in città a fine Settecento, da Gavin Hamilton a Pompeo Batoni.

Non manca, nel percorso, una sezione dedicata alla fervida attività dello studio canoviano di via San Giacomo, tappa obbligata – con i suoi bozzetti in terracotta, i modelli di grande formato, i calchi in gesso – di artisti, aristocratici e viaggiatori di passaggio nell’Urbe.
Ampiamente approfondito anche il rapporto con la letteratura e la vita politica del suo tempo.

Il gesso di Amore e Pische, la Danzatrice mani sui fianchi in marmo dell’Ermitage – che gira sulla sua base, come Canova desiderava – la Maddalena penitente, Paride (dal Museo civico di Asolo) sono forse tra i pezzi più belli di una mostra che insiste molto sul ruolo di Canova impegnato nella tutela delle opere d’arte.
Dal 1802 fu infatti ispettore generale delle Belle Arti dello Stato della Chiesa, incarico che ricoprì anche al tempo della seconda dominazione francese a Roma e durante la Restaurazione, quando fu incaricato di recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi alla fine del Settecento.

Un contributo fondamentale all’esposizione è offerto dalle sublimi immagini di Mimmo Jodice, 30 fotografie che costituiscono una mostra nella mostra e che ritraggono i marmi dello scultore offrendone una rilettura inedita e sorprendente.

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