Mondo – L’ex dandy divenuto “asceta”, di salute cagionevole sin da bambino, condusse uno stile di vita frugale tra restrizioni che quasi lo costrinsero al totale isolamento, rapito solo da quelle grandiose opere plasmate, secondo alcuni, da un’estasi mistica frutto di un’ispirazione divina.
Il 25 giugno di 168 anni fa nasceva Antoni Gaudí, l’artista dal temperamento sanguigno e recalcitrante, considerato da Le Corbusier il “plasmatore della pietra, del laterizio e del ferro”, di cui sette opere realizzate a Barcellona figurano già dal 1984 nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Il bambino prodigio che “sbalordiva chi gli stava intorno con sorprendenti lampi di genio” non poteva che lasciare il posto al genio, insofferente di fronte al rigido accademismo degli studi di architettura intrapresi a Barcellona.
“Non so se abbiamo conferito il titolo a un pazzo o ad un genio, con il tempo si vedrà” si era lasciato sfuggire Elies Rogent, direttore della scuola di architettura frequentata dall’eclettico maestro, di fronte al progetto di fine corso presentato da Gaudí alla commissione d’esame, un portale di un cimitero che colpiva soprattutto per la sua scenografica espressività.
Con il sostegno dell’industriale Eusebi Güell, divenuto presto suo mecenate, Gaudí realizzò molte delle opere che lo resero più celebre, i Padiglioni Güell, il Palau Güell e il Parco Güell, progetti frutto dell’intreccio tra natura, architettura, scultura, attraverso una grande maestria artigianale nell’uso dei materiali.
Parco Güell | Foto: © khjgd2 via Pixabay
Era il 1926 quando Parco Güell veniva inaugurato come parco pubblico, con le sue forme ispirate alle dinamiche evolutive della natura, tra linee ondulate, quasi magmatiche, che si fondono con una vegetazione mediterranea, con i bizzarri padiglioni di ingresso simili alle case delle fiabe, con la pietra rustica che incontra le maioliche colorate, in un trionfo di luce e una policromia visiva che lascia senza fiato.
Ad eccezione di qualche committenza pubblica – come quella relativa alla progettazione di alcuni lampioni per la Plaça Reial di Barcellona – la crescita professionale dell’artista si è compiuta nell’edilizia privata, dove ha conseguito i risultati più brillanti.
Casa Batlló e la “Pedrera”
La genialità si percepisce lasciandosi ipnotizzare dallo scintillio del mosaico in pietre di vetro colorate della di Casa Batlló, a Barcellona, dalla facciata scolpita in pietra arenaria di Montjuïc, con i suoi balconi dalla forma bizzarra, che ricordano le maschere teatrali, talora pipistrelli o persino crani umani (da cui il popolare soprannome di “casa de los huesos”, “delle ossa”) e dall’eclettico tetto ondeggiante simile alle squame di un rettile primitivo.
La facciata di Casa Batlló. Wikimedia Commons
Straordinaria anche Casa Milà, l’ultima opera civile dell’architetto, con la sua plastica facciata in pietra (che ha dato origine all’ironico soprannome di “Pedrera”).
Artista camaleontico, sperimentatore caparbio, Gaudí fu in preda a una continua odissea stilistica che lo vide attraversare periodi ora moreschi ora gotici, fino ad appropriarsi di una personalissima cifra creativa che fonde all’architettura modernista formule architettoniche disparate, rese vive dalla sua straripante esuberanza creativa.
A fare da spartiacque esistenziale nella vita e nella carriera dell’architetto fu tuttavia la Sagrada Familia, l’opera monumentale (rimasta tuttavia incompleta per l’improvvisa morte del suo autore) simbolo di Barcellona.
La Sagrada Familia e l’ “apoteosi mistica”
Uno strano scherzo del destino vuole che l’architettura gaudiana raggiungesse l’acme parallelamente a una personale decisione dell’architetto che risuona come una scelta di vita: il ritiro graduale dalle apparizioni pubbliche.
L’artista che in gioventù aveva trascorso buona parte della sua vita tra teatri, concerti, incontri pubblici, il dandy scanzonato dai raffinati gusti culinari lasciò lentamente spazio a una sorta ascetismo che lo indusse a trascurare il proprio aspetto personale e a rifuggire la vita sociale per dedicarsi con fervore a un sentimento mistico e religioso.
Nel 1883 a Gaudí veniva commissionata una chiesa, iniziata in stile neogotico già dall’architetto Francisco de Paula del Villar y Lozano, denominata Basílica i Temple Expiatori de la Sagrada Família o Sagrada Família. Questa costruzione monumentale assorbì Gaudí negli ultimi 15 anni della sua vita, portando a compimento quell’incrocio tra arte, architettura e vita che caratterizza l’intensa opera del maestro catalano.
Per il cantiere della Sagrada Família l’allora trentunenne Gaudì fu agitato da una vera e propria apoteosi mistica, considerando infatti quest’opera come quella della sua vita, seguendola in ogni minimo passaggio.
Per lavorare a questo che rappresenta oggi uno degli edifici più celebri al mondo l’architetto rinunciò agli atteggiamenti da dandy che ne avevano caratterizzato il passato per ritirarsi totalmente a vita privata. Man mano che la costruzione si innalzava verso il cielo, lo stile si fece sempre sempre più fantastico, con le quattro torri affusolate, simili ai castelli di sabbia dei bambini. Pur trattandosi di forme ereditate dall’architettura neogotica, secondo i cui canoni la chiesa era stata inizialmente concepita, erano sempre più rivolte a forme naturali.
Gaudí progettò l’interno della sua chiesa pensando alla struttura di un bosco, con le colonne simili a tronchi di alberi che si dividono in modo da formare rami che ne sostengono la struttura.
L’interno della Sagrada Familia | Foto: © iankelsall1 via Pixabay
Per la sua adorata chiesa arrivò persino a chiedere l’elemosina ai passanti al suono di “un centesimo, per amore di Dio”.
Era il 1910 e inarrestabili disgrazie si sarebbero abbattute di lì a poco sulla vita dello sfortunato architetto, funestata prima dalla morte della nipote Rosa e poi da quella del suo mecenate Eusebi Güell. “I miei cari amici sono morti: non ho né famiglia né clienti, né fortuna … né niente” scriveva.
E nulla in effetti possedeva, nemmeno i documenti, quando, la sera del 7 giugno 1926, un tram di passaggio lo investì lasciandolo tramortito sul selciato. Nessuno lo riconobbe e nessuno soccorse quel pover’uomo, indigente e trasandato, morto, a tre giorni dall’incidente, dopo ore di agonia.
L’architetto che imparava dalla natura
L’architetto che considerava la natura la propria maestra e che imparò “dall’albero” vicino al suo studio, rinunciò alla linea retta degli uomini a favore di mezzi espressivi più sinuosi e fiabeschi.
“Spariranno gli angoli e la materia si manifesterà abbondantemente nelle sue rotondità astrali: il sole vi penetrerà per i quattro lati e sarà come un’immagine del paradiso. Si potrà trar partito dai contrasti e così il mio palazzo sarà più luminoso della luce” scriveva. D’altronde – essendo obbligato da bambino a trascorrere lunghi periodi di riposo nelle montagne di Riudoms per via della sua salute cagionevole – aveva imparato a contemplare e fare propri i segreti della natura, che considerava la sua più alta fonte della conoscenza, in quanto opera del Creatore.
Non si trattava di copiare o di imitarla, ma di seguire il suo corso per fare della sua architettura l’opera più bella ed efficace possibile. Motivo per cui Gaudí era del parere che l’originalità consistesse nel ritorno alle origini.
Parco Güell | Foto: © dapictures_team via Pixabay
Pur appartenendo alla corrente dell’architettura modernista sperimentò con irrefrenabile irrequietezza linguaggi stilistici differenti, sempre a caccia di nuove espressività, riuscendo a fondere le arti orientali e il modello neogotico con un’attenzione particolare allo stile moresco o alle soluzioni dell’arte mudéjar.
Considerando lo stile gotico “imperfetto”, adottava diversi accorgimenti tecnici per migliorarlo, aprendo a una serie di sperimentazioni che sarebbero sfociate nell’eliminazione di contrafforti e archi rampanti giudicati “stampelle” accessorie. Essendo per Gaudí il mestiere dell’architetto un’attività a tutto tondo, che comprendeva anche il design, il maestro catalano si occupava con estremo rigore di ogni singolo elemento delle sue creazioni, dagli arredi, all’illuminazione o persino alle decorazioni in ferro battuto. Decoratore, scultore, progettista di interni, convinto sostenitore della luce come materiale, il maestro non ottenne subito la fama che meritava.
Era una mente estremamente brillante e la critica del tempo, anziché comprenderlo, mal digeriva l’eccentrica cifra stilistica di una personalità così sfavillante e immaginativa.
Nel 1936 un gruppo di anticlericali attivi nell’ambito della guerra civile spagnola diede addirittura alle fiamme la cripta della Sagrada Família che accoglieva il laboratorio del maestro, mandando in fumo parte degli schizzi, gli appunti e i modelli in scala dell’architetto.
Nel 2011 un piromane – subito arrestato – appiccò un incendio all’interno della cripta della navata centrale della basilica, annnerendo 40 metri di parete, ma risparmiando per fortuna le opere di Gaudí.
Verso le celebrazioni del 2026
E adesso si guarda al 2026 quando, a 144 anni dalla posa della prima pietra, e a un secolo esatto dall’improvvisa morte del suo autore, la Sagrada Familia potrebbe essere completata, nonostante il procedere dei lavori sia discontinuo, fortemente legato all’afflusso delle donazioni.
La popolarità raggiunta oggi dall’architetto è facilmente riassumibile nell’iniziativa recentemente promossa da un comitato di ecclesiastici, accademici, designer ed architetti, per proporre la beatificazione e la canonizzazione dell’architetto catalano. Ad avviare, nel 1998, il processo di canonizzazione è stato l’arcivescovo di Barcellona, che ha definito Gaudí un “laico mistico”. Nel 1984 e nel 2005 sette architetture hanno fatto il loro ingresso nel patrimonio mondiale dell’UNESCO, considerate testimoni dell “eccezionale contributo creativo allo sviluppo della architettura e della tecnologia edilizia alla fine del Ottocento e l’inizio del Novecento”.
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