Tina Modotti, Le donne di Tehuantepec, 1929. Courtesy Mudec
Legate a doppio filo da una specifica missione affidata all’arte, la fotografa Tina Modotti e l’attivista sudafricana Zanele Muholi saranno protagoniste del palinsesto 2020 del Comune di Milano dedicato a “I talenti delle donne”. Il Mudec le omaggia dedicando a ciascuna una mostra, a partire dalla prossima primavera.
Il primo appuntamento, “Tina Modotti. Donne, Messico e Libertà”, inaugura il 7 maggio per concludersi il 6 settembre e passare il testimone all’artista-icona contemporanea tra le più discusse e acclamate della scena artistica mondiale, al centro della retrospettiva “Zanele Muholi. A Visual Activist”, in programma dal 28 ottobre al 28 febbraio 2021.
A cura di Biba Giacchetti, la mostra dedicata a Modotti – la cui creatività è imbevuta del rinascimento artistico messicano post-rivoluzionario, grazie anche alla frequentazione di pittori e poeti come Frida Kahlo, Diego Rivera, Pablo Neruda, Picasso – racconta uno spirito libero e anticonformista. Impegnata in prima linea a soccorrere i civili nella Guerra spagnola, condivise la vita con Vittorio Vidali, ma, al contrario del suo compagno, non riuscì a fare ritorno nella sua amata Udine per via delle sue attività antifasciste e di una morte prematura che la colse a Città del Messico.
Fu grazie a Vidali, divenuto poi senatore, che negli anni Settanta avvenne la riscoperta del suo archivio artistico, mentre, con la nascita del Comitato Tina Modotti, fu avviata la ricostruzione della collezione più esaustiva delle sue opere e dei documenti che riguardano la sua avventurosa esistenza. Spetta a stampe originali ai sali d’argento degli anni Settanta realizzate a partire dai negativi di Tina, resi disponibili da Vidali, ai documenti della sorella, alle lettere, ai filmati d’epoca tessere il racconto di questo spirito libero che ha attraversato la miseria e la fama, l’arte e l’impegno sociale.
Sarà sempre Biba Giacchetti a curare l’altro percorso dedicato dal Mudec a Zanele Muholi, una delle voci più interessanti del Visual Activism, con le sue opere struggenti e magnetiche. Muholi firma gli autoritratti che inscenano una sorta di denuncia, a cui l’artista del Sudafrica presta il proprio corpo. Ha conosciuto gli anni dell’Apartheid e per questo ogni sua immagine racconta una storia precisa, un riferimento a esperienze personali, una riflessione su un contesto sociale e storico più ampio. Lo sguardo dell’artista inquieta, commuove e denuncia, mentre oggetti quotidiani dalla forte valenza simbolica sono posti in un dialogo serrato con il suo corpo.