Vincent van Gogh, Autoritratto con cappello di paglia, estate 1887, 26,7 x 24,9 cm, Detroit Institute of Arts
Duecento persone al giorno, biglietti acquistabili online, rispetto della distanza interpersonale di un metro e mezzo e ingressi contingentati. Ma soprattutto puntualità, per evitare di perdere il proprio turno di ingresso (e anche il biglietto) e senza possibilità di rimborso.
Il sito ufficiale del museo suggerisce anche l’orario perfetto di visita: dalle 9 alle 11 o dopo le 15, mentre la fascia tra le 11 e le 15 è la più affollata.
La lunga chiusura ha avuto un impatto catastrofico sulle finanze del museo di Amsterdam, che normalmente ottiene metà delle sue entrate dalla vendita dei biglietti. Basti pensare che lo scorso anno il museo che accoglie la più grande collezione al mondo di dipinti, disegni e lettere di Vincent van Gogh ha registrato 2.1 milioni di visitatori, con punte di 6mila al giorno, diventando il secondo museo olandese più popolare, dopo il Rijksmuseum.
Insomma, la nuova direttrice, Emilie Gordenker, insediatasi solo qualche mese fa, dovrà vedersela con un museo in rosso, con l’89% delle entrate autoprodotte e una sovvenzione dal governo olandese pari a circa 7 milioni di euro annui.
E siccome, come scrisse Van Gogh “sperare in tempi migliori non deve essere un sentimento, ma un invito ad agire nel presente”, l’istituzione situata al numero 6 di Museumplein si rimbocca le maniche offrendo ai visitatori, ma anche ai semplici appassionati, la possibilità di effettuare una donazione, anche piccola, considerate le “ingenti perdite”.
Il Van Gogh Museum di Amsterdam
Le mostre al Museo, tra proroghe e rinvii
Il lungo lockdown ha fatto slittare all’autunno alcuni importanti appuntamenti del museo. Sarà invece prorogata al 30 agosto la mostra In the Picture: Portraying the Artist, aperta solo per tre settimane prima del lockdown, con i suoi 75 ritratti che svelano tutto l’universo interiore dell’artista.
La mostra Your Loving Vincent: Van Gogh’s Greatest Letters, inizialmente in programma per l’estate, sarà invece spostata dal 9 ottobre 2019 al 10 gennaio 2021. L’effetto domino provocato dal blocco da coronavirus fa slittare anche l’appuntamento, previsto in autunno, con la mostra Klimt: Inspired by Rodin, Van Gogh, Matisse. Chi ha ispirato Gustav Klimt, il grande Maestro del modernismo viennese? Conosceva Vincent van Gogh? A queste e a tante altre domande cercherà di rispondere questo percorso, che si preannuncia affascinante, e che rappresenta il frutto della collaborazione tra il Belvedere di Vienna e il Museo Van Gogh di Amsterdam.
Un viaggio che inizia con i precursori artistici di Klimt e conduce ai suoi contemporanei, esponendo, in suggestiva giustapposizione, opere di Klimt, accanto a quelle dei colleghi Van Gogh, Matisse e molti altri.
L’esposizione, che doveva essere presentata al Belvedere di Vienna da febbraio a maggio 2021, è stata posticipata alla primavera del 2023 ed è probabile che anche per l’appuntamento di Amsterdam si dovrà attendere ancora.
Una fotografia di Vincent van Gogh all’età di 19 anni, 1873 circa
5 cose da sapere sugli autoritratti di Van Gogh
Il fascino degli autoritratti di Van Gogh scaturisce dal fatto che dietro ogni tela si cela un segreto, all’apparenza invisibile. Del pittore abbiamo oltre 35 autoritratti, che lo ritraggono con i capelli rossi, gli occhi verdi e un volto dai lineamenti spigolosi. Eppure ciascuna di queste facce è diversa. In realtà abbiamo solo una fotografia dell’artista. Lo ritrae a 19 anni con un’espressione leggermente burbera.
Quasi tutto ciò che sappiamo del suo aspetto proviene dalle tante opere che ha dipinto. Vincent usava uno specchio per ritrarsi. Quello che ha dipinto era in realtà la sua immagine speculare. Quando lo vediamo con la sua tavolozza nella mano destra, questa era in realtà la sua sinistra.
La seconda cosa da sapere è che Van Gogh dipingeva i suoi autoritratti per esercitarsi nella pittura dei volti. La maggior parte di queste opere fu realizzata mentre l’artista si trovava a Parigi. In quegli anni era a corto di soldi e faticava molto per trovare i suoi modelli. Ha optato pertanto per la soluzione più semplice, dipingendo se stesso. Addirittura, non potendo permettersi nuove tele, utilizzava il retro dei quadri. Sette piccoli autoritratti furono realizzati proprio sul retro di una serie di studi che aveva fatto nei Paesi Bassi.
Quello che è certo è che gli autoritratti di Vincent ci rivelano sempre qualcosa della personalità del pittore. Dietro quell’espressione severa e concentrata, quasi sempre malinconica, si nasconde uno stato d’animo. Lo stesso artista si descrisse, nell’ultimo autoritratto realizzato a Parigi, “abbastanza trasandato e triste”, con “il volto della morte”. È così che doveva sentirsi in quel momento: mentalmente e fisicamente esausto.
“Capelli corti, di altezza media, la gestualità vivace, la pipa”. E ancora “Irruento nei discorsi, grande sviluppatore di idee, ma che non amava essere contraddetto”. Così ce lo descrive il pittore e amico Emile Bernard.
Vincent van Gogh, Autoritratto con pipa e cappello di paglia, Estate 1888, Olio su cartone, 31 x 42 cm, Amsterdam, Van Gogh Museum
C’è poi la malattia del pittore, che trapela da tre autoritratti.
Vincent van Gogh, Autoritratto con orecchio bendato, Gennaio 1889, Olio su tela, 45 × 51 cm, Collezione privata
Ad esempio l’Autoritratto con orecchio bendato, del 1889, oggi alla Courtauld Gallery di Londra (dipinto poco dopo essere tornato a casa dall’ospedale); o l’Autoritratto del 1889 conservato al Museo Nazionale di Arte, Architettura e Design di Oslo – dipinto nel manicomio di Saint-Rémy, poco dopo una crisi, con mano ancora tremante – oppure l’Autoritratto con orecchio bendato e pipa, dello stesso anno.
Vincent van Gogh, Autoritratto con l’orecchio mutilato, 1889?, Olio su tela, 31 x 40 cm, Oslo, National Gallery
“L’unica cosa che conforta e distrae è stordirsi bevendo un drink o fumando molto” scriveva Vincent.
Il 23 dicembre 1888 il pittore, in uno stato di totale confusione, si era tagliato l’orecchio sinistro. Era solo la prima di una serie di manifestazioni sintomo di quell’esaurimento mentale che lo avrebbe colto sempre più di frequente.
Dell’incidente non parlava spesso nelle sue lettere, ma preferiva piuttosto “riferirne” nei suoi autoritratti. Il suo obiettivo non era quello di suscitare pietà in chi li osservasse. Semplicemente era convinto che la pittura lo avrebbe aiutato a guarire. “Conservo ogni buona speranza” scriveva al fratello Theo. Insomma, l’immagine che ognuno di noi ha del pittore di Zundert passa attraverso i suoi autoritratti, dai quali hanno tratto ispirazione moltissimi artisti.
Come l’artista contemporaneo Guillaume Bruère, che lo scorso anno ha disegnato una serie di nove fogli al Van Gogh Museum. Dall’arte al cinema, dove Kirk Douglas – protagonista di Lust for Life (1956), il primo grande film su Van Gogh – vestiva nel poster proprio come uno degli autoritratti di Vincent.
Il volto inquieto dell’artista, il suo cappello di paglia, gli occhi verdi sono divenuti nel tempo i tratti distintivi di un pittore innamorato del sole e del giallo. E forse anche della vita, nonostante tutto.
Vincent Van Gogh, Albicocchi in fiore, 1888, Olio su tela, 65.5 x 80.5 cm, Amsterdam, Van Gogh Museum
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