ROMA – Con grande merito di una distribuzione indipendente come Academy Two, arriva nelle sale italiane uno dei film scoperti un anno fa dalla prestigiosa Semaine de la Critique del Festival di Cannes: SIR – CENERENTOLA A MUMBAI, opera d’esordio della regista indiana Rohena Gera. Il dettaglio distributivo non è marginale perché conferma come il cinema di qualità debba oggi cercare mille diversi rivoli per imporsi e non è un caso che l’uscita in sala del film sia preceduta da una serie di anteprime nelle maggiori città italiane proprio per creare un “effetto evento” specialmente utile alla promozione del cinema indiano sui nostri schermi.
Alcune avvertenze per l’uso: non si tratta di un melodramma cantato nello stile sfarzoso quanto distante dai gusti occidentali della produzione di Bollywood (il grande cinema commerciale della seconda potenza mondiale dell’immaginario); non è nemmeno un severo dramma a tinte neorealiste come talvolta abbiamo imparato a vedere nelle produzioni di quella cultura. E’ davvero una fiaba, ispirata alla molto europea ricerca della felicità da parte di Cenerentola, ma condita con spezie piccanti e colorati sottotesti sociali che avvicina la cultura orientale a quella occidentale secondo i modi appresi dalla stessa regista. Rohena Gera è infatti cresciuta in America e dal 1996 ha iniziato a farsi stimare nel selettivo mondo degli Studios come soggettista e sceneggiatrice alla Paramount di New York per poi farsi le ossa in patria come aiuto regista, sceneggiatrice e produttrice esecutiva. Sicché molti dei disagi e delle insofferenze del protagonista di SIR (il giovane Ashwin che fa ritorno nella gabbia dorata della sua famiglia benestante dopo l’annullamento del matrimonio) sono gli stessi vissuti da Rohena quando ha dovuto fare i conti con la realtà sociale dell’India di oggi, ancora rigidamente divisa da caste, differenze di classe, antiche tradizioni difficili da abbattere.
Nel palazzo di Ashwin va servizio la giovanissima e romantica Ratna, che proviene dalla campagna ed è rimasta vedova giovanissima. L’attrazione tra i due è pari a quella tra il Principe e Cenerentola, ma far sì che la fiaba arrivi allo stesso lieto fine sarà ben più arduo per i due promessi sposi indiani. Il film ha passo svelto, ambientazioni tanto suggestiva da mozzare il fiato, siparietti paradossali che sfiorano il comico e asprezze di contrasto sociale che ben fotografano una società sospesa tra passato e futuro. Anche la regia è di solido mestiere e rivela una maturità di sguardo poco prevedibile in una autrice all’esordio che si destreggia più che bene coi (prevedibili ma non scontati) colpi di scena che scandiscono la storia d’amore. Tutto perfetto, specie per chi cerchi nel cinema d’estate una boccata d’aria fresca lontana dai più attesi (ma anche più prevedibili) blockbuster americani di stagione. Semmai si può notare che con opere come queste il cinema indiano si sforza di aprirsi a un pubblico mondiale ben diverso da quello di casa e che l’operazione, inevitabilmente un po’artificiale, toglie qualche grado di autenticità al risultato finale. Ma è forse un prezzo da pagare per portarci in mondi diversi e fornirci qualche codice interpretativo in più Basti vedere, nella versione originale coi sottotitoli, come i due protagonisti parlino in realtà lingue diverse (il marathi di Ratna e l’hindi di Ashwin) e siano costretti a ricorrere all’inglese per dirsi… ti amo.