Nel mondo del cinema dire ‘comparse’ o dire Spoletini è la stessa cosa. Stiamo parlando di cinque fratelli trasteverini che, a partire dal dopoguerra, hanno cercato le facce giuste per il cinema italiano e internazionale passato da Roma. Ora dei cinque fratelli è vivo solo Antonio, ottant’anni suonati. E fa ancora il suo lavoro a Cinecittà. All’approssimarsi dell’idea di una fine, come ogni uomo, Antonio vorrebbe lasciare un nome nei titoli di coda. È quello almeno a cui ha pensato Simone Amendola, con il documentario ‘Nessun nome nei titoli di coda’ passato oggi alla Festa del cinema di Roma, nella sezione Riflessi.
Una lettera d’amore per il cinema e per Roma e Cinecittà quella del regista che dice nelle sue note:“tenendo a mente quello che Gian Piero Brunetta mette a fuoco nel suo ’Storia del cinema italiano’: il rapporto unico tra la città, il suo proletariato e la Settima Arte, ciò che è accaduto a Roma con il neorealismo non è accaduto in nessun altro paese e in nessun’altra cinematografia. Perché – continua Amendola – davanti e dietro la macchina da presa sono diventati protagonisti i ragazzi del Tevere e di Trastevere, dei rioni e delle borgate”.
Il cinema insomma voleva raccontare il popolo e solo il popolo poteva davvero dare le sue facce agli artisti. C’è comunque un momento chiave in ‘Nessun nome nei titoli di coda’ durante le riprese dei funerali di Federico Fellini. La regia della Rai alterna piani sequenza sulla salma e poi, dolcemente, fa una panoramica sulle seconde e terze file, dove si nasconde il grande cinema italiano, i volti che tutto il mondo conosce: da Gassman ad Antonioni. Ci sono tutti.
Mentre monta la commozione negli occhi dei presenti, la regia si sofferma qualche istante su un gruppo che siede alle spalle di un giovanissimo Sergio Rubini: sono uomini di mezza età, una decina circa. Il commentatore (Paolo Frajese) con poche, emozionate, parole ce li racconta: ‘Eccoli – dice -, questi sono gli artigiani che hanno fatto il cinema anche di Federico Fellini, volti a me e a voi sconosciuti, ma che Fellini conosceva uno a uno e a ognuno aveva dato un soprannome affettuoso’. Al centro del gruppo inquadrato c’era proprio Antonio Spoletini.
(ANSA).