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Il segreto della miniera sono le fosse comuni

ROMA – C’è nella storia del mondo una realtà di esseri ‘cancellati’, corpi senza sepoltura in fosse comuni e non. A volte, come racconta ‘Il segreto della miniera’ di Hanna Slak in sala dal 31 ottobre con Cineclub Internazionale, è appunto una miniera la loro tomba. Basato su una storia vera, il lungometraggio della Slak racconta la singolare vita del minatore sloveno di origine bosniaca Mehmedalija Ali che perse tutti i parenti maschi nella strage di Srebrenica del 1995 alla quale sopravvisse solo perché era già emigrato in Slovenia. Ora nel 2007 toccò proprio ad Ali scoprire un terribile segreto nascosto nella viscere della miniera di Huda Jama. Il minatore venne infatti inviato all’interno di una miniera, ormai sigillata da tempo, per riferire il contenuto alle autorità competenti. Dopo due anni di lavoro, l’uomo si ritrovò a rompere, in condizioni estremamente pericolose, ben undici barriere artificiali presenti in miniera. Cosa nascondevano quelle barriere? Proteggevano la tomba nascosta di 4000 profughi di guerra uccisi alla fine della seconda guerra mondiale dai vincitori.

Si trattava di una delle più grandi fosse comuni finora scoperte piena zeppa, come era, degli eccidi perpetrati, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, dai partigiani di Tito. La scoperta di “Huda jama”, ossia “grotta maligna”, sconvolse la società slovena che ancora oggi sembra non accettare la verità di questo crimine. Il minatore Mehmedalija Ali fu poi emarginato, durante tutta la vicenda, ritenuto colpevole di aver insistito affinché le vittime venissero identificate e di aver pubblicato poi nel 2013 la sua autobiografia, ‘No One’, in cui raccontava, tra l’altro, come si fosse rifiutato più volte di nascondere la verità. Presentato con successo a numerosi festival, Il segreto della miniera’ ha vinto, tra l’altro, come miglior film e il premio del pubblico all’Al Este International Film Festival di Buenos Aires e, infine, il premio della giuria giovani al Trieste International Film Festival. Il film ha ricevuto poi il patrocinio di Amnesty International Italia rappresentata all’incontro stampa da Riccardo Noury (Portavoce di Amnesty International) e Laura Petruccioli (Responsabile dell’Ufficio del Portavoce di Amnesty International.

“La mia intenzione quando ho deciso di fare questo film – spiega la regista nata nel 1975 a Varsavia e attualmente residente a Berlino – è stata quella costruire una voce terza non appesantita da ideologia e questa terza voce l’ho trovata in Ali. Certo storie simili ci sono in diverse parti del mondo – aggiunge la regista -, ma questo film oltre che storico è anche sull’oggi”. “In Slovenia – conclude – mi hanno criticato per questo film perché qualcuno mi ha detto ricorda il massacro di Srebrenica del 1995 o l’olocausto, ma io ho solo raccontato quello che è avvenuto davvero in quella miniera nel dopoguerra. Tutto qui”.

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