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Judy Garland, tra mito e fragilità

Un’icona di Hollywood, già consacrata star mondiale a 16 anni, con Il mago di Oz e morta a 47 per un’overdose di barbiturici. L’incommensurabile Judy Garland sta per rivelarsi a nuove generazioni di spettatori attraverso l’interpretazione di Renée Zellweger in Judy di Rupert Goold, che debutterà in prima mondiale al Toronto Film Festival e arriverà in Italia il 19 dicembre con Notorious Pictures. Il film, ispirato dalla pièce teatrale End of Rainbow di Peter Quilter, si concentra sugli ultimi mesi di vita dell’attrice e cantante, nei quali, nonostante la salute precaria e la voce spesso incerta, accetta, per risolvere alcuni problemi finanziari e familiari, un lungo ingaggio a Londra, dove muore il 22 giugno 1969.

Goold ha ampliato il racconto, per mostrare non solo le fragilità ma anche la ricchezza della personalità della stella. Tuttavia la figlia maggiore ed erede artistica di Judy, Liza Minnelli, ha fatto sapere di non aver mai incontrato Renée Zellweger ne’ di aver dato alcuna forma di approvazione al progetto. Una presa di distanze comprensibile, vista la complessità della vita di Frances Ethel Gumm, in arte Judy Garland: una donna tanto talentuosa, generosa e ricca di humour, quanto indebolita da superlavoro, amori tormentati (cinque matrimoni, di cui l’ultimo tre mesi prima di morire con il musicista Mickey Deans, e tre figli: oltre a Liza, interpretata nel film da Gemma-Leah Devereux, Joey e Lorna Luft), tracolli economici, e un equilibrio psicologico instabile.

A causarlo, oltre a una vita perennemente sotto i riflettori, c’era soprattutto l’abuso di psicofarmaci, ai quali era stata iniziata dalla madre e dagli studios, quand’era adolescente (come rivelò Judy Garland stessa al biografo Paul Donnelly) per non ingrassare e sopportare ritmi di set massacranti. “Se vuoi la celebrità devi pagare un prezzo e io certo l’ho pagato – ha detto la stella in una delle sue ultime interviste -. Devi saper ridere di tutto, soprattutto di te stesso. Io rido sempre di me. Devo essere una persona molto divertente con cui vivere”. Un ritratto al quale Renee Zellweger si è dedicata in maniera certosina, preparandosi per mesi, in modo da assomigliare il più possibile nel look (ogni mattina si è sottoposta a due ore di trucco), nella gestualità e nel modo di cantare a Judy. A darle il coraggio di affrontare una sfida che se vinta (i primi trailer sono stati accolti con favore ma anche da qualche dubbio) potrebbe riproiettarla nell’orbita degli Oscar, statuetta già conquistata nel 2004 con Ritorno a Cold Mountain. Per Renée Zellweger una delle grandi capacità di Judy Garland era “dare la sensazione a tutti di avere con lei un legame speciale. Era come se lei percepisse il dolore di ognuno – ha detto l’attrice nelle prime interviste -. Girare il film è stato per tutti noi ogni giorno una celebrazione della bella persona che era”.

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