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Pryce è Bergoglio, “lui sì che è un leader politico”

Nonostante dovremmo essere abituati al fascino del Vaticano e dei pontefici, dopo ‘Habemus Papam’ e ‘The Young Pope’, ‘I due papi’, il film ora proposto da Netflix dal 20 dicembre, sorprende anche di più. Tanti i motivi: Fernando Meirelles (City of God e The Constant Gardener – La cospirazione) alla regia; Anthony McCarten alla sceneggiatura (La teoria del tutto, L’ora più buia e Bohemian Rhapsody) e poi due protagonisti da Oscar come Jonathan Pryce e Anthony Hopkins, rispettivamente nei ruoli di Papa Francesco e Papa Benedetto XVI sono una miscela davvero esplosiva. E se questo non bastasse, al centro del film un fatto storico epocale: la compresenza in Vaticano di due papi. Tra l’altro due pontefici che più diversi non potrebbero essere, ma che hanno in comune santità e peccato.

Ricostruzione filologica degli ambienti perfetta, compresa una Cappella Sistina che sembra autentica, un conclave più vero del vero (con tanto di stufa per la fumata bianca) e poi il rapporto, tra pop e spirituale, tra i due papi che si sfiorano, si studiano, si accusano prima di diventare, nonostante tutto, amici. Tutto inizia quando il cardinale Bergoglio (Pryce) chiede per lettera il permesso di ritirarsi a Papa Benedetto (Hopkins), una sorta di schiaffo al pontefice conservatore di cui non condivide nulla. Di fronte al rischio di uno scandalo nel clero, Papa Benedetto convoca invece il suo critico più duro, nonché suo futuro successore a Roma, per rivelare un segreto destinato a scuotere le fondamenta della Chiesa cattolica: la sua stessa voglia di rinunciare, ma al soglio papale.

Da questo incontro nasce, almeno nel film, l’amicizia tra un Ratzinger conservatore, poco disponibile verso omosessualità, matrimonio dei preti, un uomo che si è allontanato forse troppo dalla gente per i troppi libri e che non sa neppure chi sono i Beatles, e un Bergoglio invece rivoluzionario, aperto a una Chiesa nuova, meno corrotta, francescana. Ad unirli, secondo la tesi del film, anche la colpa. Quella di Ratzinger che confessa a Bergoglio come, da cardinale della Congregazione per la dottrina della fede, non avesse mostrato i documenti sulla colpevolezza dei preti pedofili, e le colpe poi di papa Francesco. Ovvero quando in Argentina aveva mostrato forse troppa tolleranza verso la dittatura di Videla che aveva martirizzato più di un sacerdote .

“Nel caso di Ratzinger – spiega a Roma il regista brasiliano – è noto il caso di padre Maciel e dei legionari di Cristo e di come avesse i dossier dei colpevoli sulla scrivania da tanto tempo. Nel caso di Bergoglio – continua Meirelles – è un fatto risaputo che si senta colpevole di quel periodo in Argentina. Ho parlato coi alcuni seminaristi di allora e, devo dire, a nessuno piaceva Bergoglio come cardinale. Sembra poi che nessuno lo avesse visto sorridere prima di diventare Papa”.

Spiega invece Pryce, fisicamente un gemello di Papa Bergoglio: “Quando fu eletto, uno dei miei figli mi chiese vedendo l’immagine di Bergoglio in tv: ma allora sei tu il Papa? Devo dire – aggiunge l’attore, candidato al Golden Globe proprio per questo ruolo – che per fare Papa Francesco è come se mi fossi preparato fin dalla nascita. Io che sono protestante vedo quest’uomo, per il suo modo di vedere l’economia e i cambiamenti climatici, più come il leader politico che vorrei. Se penso a chi c’è ora nel mio Paese, la Gran Bretagna, non voglio neppure fare il nome…”. Totalmente in linea anche Meirelles: “Oggi in America abbiamo Trump e nel mio paese un idiota (Bolsonaro, ndr) che ha avuto il coraggio di chiamare Greta, una ‘piece of shit'”.

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