ROMA – Su un set non rimetterà piede “fin quando non troveranno il vaccino”, dunque per ora il nuovo progetto Prince of Cats, un Romeo e Giulietta al ritmo hip hop nella Brooklyn anni ’80, resta in pre-produzione per tempi migliori, ma la realtà tira in ballo e pesantemente Spike Lee.
Il regista afroamericano di Atlanta che della lotta sui diritti civili dei neri ha fatto non solo il cuore del suo cinema, ma la sua guida morale e come tale è riconosciuto dai neri d’America, è da giorni in prima linea nelle mobilitazioni dopo la morte violenta di George Floyd tuttora in corso. Di getto ha realizzato un corto, anzi una videocompilation, ‘3 Brothers: Radio Raheem, Eric Garner and George Floyd’ che mescola clip sugli arresti di Floyd e di Eric Garner, un altro nero ucciso dalla polizia nel 2014 a Staten Island (l’agente coinvolto, Daniel Pantaleo, non è mai stato incriminato) con scene dal suo cult ‘Fa’ la cosa giusta’ in cui il personaggio di Radio Raheem muore strangolato dalla polizia con una presa alla gola.
A dimostrare, se ce ne fosse bisogno quanto il tema sia purtroppo un evergreen. Come ha ripetuto ieri sera a Epcc su Sky Uno nell’intervista rilasciata ad Alessandro Cattelan. E il 12 giugno su Netflix sarà disponibile il nuovo film dopo BlacKkKlansman (Oscar alla sceneggiatura): ‘Da 5 Bloods – Come Fratelli’ che racconta il Vietnam dall’angolazione di soldati afroamericani che stavano anche combattendo per la giustizia sociale negli Stati Uniti. “Avevi il movimento del potere nero, il movimento contro la guerra, il movimento delle donne e tutte queste cose si stavano unendo per far avanzare il paese”, ha detto Lee alla Cbs. Il film lo avrebbe dovuto accompagnare al festival di Cannes dove era il presidente di giuria del concorso 2020, ma la pandemia ha fermato tutto.
La storia smetterà di ripetersi?, si chiede Spike Lee con il profilo Instagram zeppo di immagini delle manifestazioni americane del Black Lives Matter. “Nel mio film “Fa’ la cosa giusta” – ha detto Lee – l’omicidio di Radio Raheem era basato su una persona reale, si trattava di un graffitaro che si chiamava Michael Stewart che è stato strangolato dal dipartimento dei trasporti della polizia di New York. Questo accadde nel 1983, nel 1989 è uscito “Fa’ la cosa giusta”, poi abbiamo Eric Gardner, che assomiglia molto a Radio Raheem, e poi abbiamo George Floyd, quindi… questa è l’America”. E ancora: “Anche se in America siamo i migliori per ciò che riguarda il razzismo, la gente non può solo dire “beh, guarda come stanno male in America” e poi chiudere gli occhi di fronte al razzismo che succede nel loro Paese. Non sarei onesto se non dicessi che ciò succede anche in Italia. Quindi non accade solo in America – aggiunge il regista – ognuno deve guardare la propria nazione, la propria città, il proprio quartiere, e cercare di sconfiggere il razzismo. Il razzismo è in tutto il mondo”.
In ‘Da 5 Bloods’, dal 12 su Netflix, la storia di quattro veterani afroamericani – Paul (Delroy Lindo), Otis (Clarke Peters), Eddie (Norm Lewis) e Melvin (Isiah Whitlock, Jr.) – che ritornano in Vietnam. Alla ricerca di ciò che rimane del loro caposquadra, caduto in guerra (Chadwick Boseman) e di un tesoro sepolto, i nostri eroi, riuniti dal preoccupato figlio di Paul (Jonathan Majors), combattono e affrontano le devastazioni durature dell’immoralità della guerra del Vietnam. Le scene di finzione si alternano con filmati di archivio sulla guerra, le proteste all’università Kent State represse nel sangue, le dimissioni di Richard Nixon per il Watergate, Angela Davis e Malcolm X. Di sfondo anche un riesame delle politiche razziali in America alla fine degli anni Sessanta quando i soldati di colore si chiedevano perché combattere per un paese che ha sempre oppresso gente come loro. (ANSA).