VENEZIA – Dopo la risata disperata e letale di Joker, arriva al Lido quella catartica dei detenuti coinvolti nei laboratori teatrali raccontati da Tim Robbins in 45 seconds of Laughter, documentario presentato fuori concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. E’ il racconto di sei mesi del lavoro della compagnia teatrale di cui Robbins è cofondatore e componente da 37 anni, della The Actors’ Gang, con i carcerati di un penitenziario di massima sicurezza in California. il Calipatria.
“Se affronti i problemi della società lavorando sui macrolivelli rimani frustrato, perché non vedi cambiamenti. Mi sono reso conto già da tempo che invece puoi cambiare le cose lavorando sui microlivelli, come facciamo noi nelle scuole e nelle carceri” dice Robbins. “Ognuna di queste esperienze lascia un grande ottimismo e speranza per il futuro. Si vedono le trasformazioni nelle persone, ed è incredibile quando la madre di un detenuto viene da te e ti dice ‘Grazie, rivedo mio figlio”. Un viaggio fra recitazione, improvvisazioni, comprese quelle attraverso i personaggi della Commedia dell’Arte (“fra le fonti di ispirazione c’è stato anche Dario Fo” dice Robbins) esercizi per entrare in contatto con le proprie emozioni e sviluppare la fiducia reciproca. The Actors’ gang, che porta avanti da anni laboratori in prigioni e scuole, nella classe del film non fiction, ha coinvolto detenuti di etnie diverse, condannati dagli 8 agli 80 anni di carcere e i capi di diverse bande. Il percorso del laboratorio, vuole avvicinare i partecipanti ad affrontare e gestire meglio le proprie emozioni. Nelle prigioni “prevale la rabbia, che le persone indossano come una maschera. Il laboratorio aiuta molti detenuti a rendersene conto”.
I risultati si vedono: i detenuti che hanno partecipato all’esperienza con The Actors’ gang, hanno ricevuto l’89% in meno di provvedimenti disciplinari legati a episodi violenti, e il 77% dei partecipanti una volta uscito ha trovato un lavoro. Mentre nelle scuole “vedi in tanti bambini una felicità di facciata, perché gli adulti gli chiedono costantemente di sorridere, senza ascoltare realmente i loro problemi. Invece conquistando la loro fiducia i bambini si aprono e condividono le loro vere emozioni”. Il lavoro con The Actors’ gang, portato in tutto il mondo, è per Robbins “la mia casa”: parte di un impegno, per un attore e regista, lontano dalle ipocrisie di Hollywood, che non ha mai avuto paura di schierarsi per le cause in cui credeva: “Sono un testardo, per me un artista dovrebbe sempre dire la verità, fare compromessi non è per me”. L’attenzione per il carcere ha attraversato più volte anche il suo cinema, come Dead man Walking e Le ali della libertà: “Sono cresciuto in una zona difficile di New York e ho avuto un paio di amici finiti in prigione… non ho mai avuto un atteggiamento giudicante verso i detenuti e questo ha reso tutto più facile”.