Una liturgia stanca, per addetti ai misteri di un cinema che non interessa più a nessuno, tranne agli spacciatori di produzioni algoritmiche lontane dalla realtà, che però influenzano con messaggi subliminari avvolti nel nulla, cioè nei film
…questi film che poi nessuno, regolarmente, vedrà – a parte i turiferari-zombie cui i padroni della Mostra allungano per pochi giorni i bocconcini drogati che li faranno sentire vivi e critici per il resto dell’anno, in attesa di un’altra pappa programmata-, recensiti con entusiasmi sospetti ed esagerati, o con formule paleobizantine destinate nelle intenzioni a stupire l’inclita -che è facile e sempre possibile, in un mondo di inclite social e connesse a ogni nulla purché di moda-, ma nella realtà utili a frastornare e tramortire il mezzo-colto contadino e suddito (come nella tradizione aristocratica della Dominante), e nei fatti bypassate dai lettori su ogni supporto o dai possessori di telecomando come le pubblicità Barilla o Dash …
…metacritiche in lingua caldea fini a se stesse, stress da tastiera che sottendono sprechi impressionanti di energie (speriamo ben compensate), rigori sintattici finissimi a se stessi o all’indottrinamento forzato di schiavi globali, come nei dibattiti che seguivano le proiezioni de “La corazzata Potemkin” nei film di Fantozzi… adrenaline da red carpet create a tavolino, con foto e video in campo stretto che riproducono sempre lo stesso fan di fronte alla stessa diva (quasi sempre scaduta) come in un multiplo di Andy Warhol -in questo, sì, metafora della falsa e falsaria modernità del tutto-, perché le masse, quelle vere, ormai vanno solo allo stadio o a concerti dove mai ci si aspetterebbe, oppure non ci si aspetta e basta …
…nel senso che non gliene frega niente a nessuno, alla fine, neanche al più sfaccendato sociologo, del perché e percome decine di migliaia di persone stiano dentro recinti di filo spinato compresse come sarde salate nei container del porto di Sciacca per ascoltare Laura Pausini o Tiziano Ferro o qualche guru che coltiva la propria gurità apparendo poco, ma suscitando simbolici crolli di palchi e disastri quelle poche volte che…
…in realtà … questa fiera di un’arte mummificata ormai esibita in urne di cristallo come le pellicole di celluloide dei film veri di un tempo -questi, veri oggetti di venerazione-, ma offerta a nessun pubblico, se non appunto ad adepti superstiziosi e a rari fanatici di ectoplasmi che si chiamano, ad esempio, Guillermo Del Toro, uno che premia storie di “cameriere mezteche incinte”, o Joaquim Phoenix o tale Cuaròn -Leon d’Oro che osa intitolare il proprio prodottino da instagram come il capolavoro misconosciuto di Fellini del 1972-, come nei più angosciosi manga … e un imperativo ovunque, ripetuto decine di volte nelle recensioni perché a ogni citazione produce un tot di soldi al sciùr parùn del medesimo: Netflix, Netflix su, Netflix giù, Netflix qua, Netflix là (e qui nel nostro piccolo e malgré nous gli versiamo anche noi un obolo), un tremendo insetticida o flit, come si diceva un tempo, ma del pensiero collettivo, da cui vanno scacciate tutte le larve di autonomia mentale, e che poi per il principio dei vasi comunicanti versa cospicui compensi nelle tasche di ex-leader scoppiati assurti a star della tv a pagamento o a docenti niente meno che di arte fiorentina…
…e allora appare abbastanza chiaro che la complessa liturgia lidense certo ispirata al “De Ceremoniis” di Costantino VII Porfirogenito, che intorno al 950 d.C. aveva molta influenza da queste parti e quindi ha lasciato un evidente segno, mirata a escludere i comuni mortali dal mysterium iniquitatis degli inossidabili esarchi che la dirigono, immobili nei secoli e privi di prospettiva come nei mosaici ravennati, è totalmente votata alla costruzione del Mito commerciale di turno e alla raccolta delle offerte per l’Altissimo, Onnipotente e Globale: oggi si chiama Netflix, domani chissà, ma avrà sicuramente un nome da ddt…