(ANSA) – ROMA, 21 GEN – “Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi alla gioia, ma alludo al superamento di ogni contraddizione che attraversa la nostra vita perchè siamo costantemente nello squilibrio e nell’instabilità: non ci attende la reincarnazione o la resurrezione, ma qualcosa di infinitamente di più”. Così scriveva e ripeteva spesso, nelle sue lectio e nei suoi incontri, Emanuele Severino, morto il 17 gennaio a Brescia, ma si è saputo solo oggi, che aveva compiuto 90 anni il 26 febbraio 2019.
Un pensiero radicale, il suo, che per la negazione del ‘divenire’ lo ha portato ad un conflitto con la chiesa cattolica al punto che nel 1968, 4 anni dopo aver pubblicato ‘Ritornare a Parmenide’, su sua richiesta venne istruito un processo dall’ex Sant’Uffizio, che dichiarò la sua filosofia incompatibile con il cristianesimo. Un pensiero che Severino, considerato uno dei più grandi filosofi, scrittori e intellettuali del Novecento, ha coltivato facendo riferimento, oltre che a Parmenide, ad Aristotele, Eraclito, Hegel, Nietzsche, Leopardi.
Per il filosofo bresciano l’Occidente vive nel nichilismo, ovvero nella convinzione che le cose, tutte le cose escono dal nulla e vi fanno ritorno. Nei numerosi libri pubblicati sin dagli anni ’50, Severino ha mostrato invece che tutto, anche le cose più insignificanti sono eterne per necessità e la convinzione che tutte le cose escono dal nulla e vi fanno ritorno è la ”follia estrema”. L’uomo ha sempre cercato il rimedio al terrore davanti al dolore e alla morte. Lo ha cercato con il mito, la poesia e la religione e proprio in questo contesto ha approfondito il pensiero di Eschilo ma anche di Giacomo Leopardi.