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Anziani&RSA: infermieri pronti a disegnare un nuovo modello per l’assistenza basato su cinque punti cardine

Appello al ministro per una riforma urgente condivisa con tutti gli stakeholder
Secondo i dati ISS servono almeno 29.700 professionisti

 

“L’assistenza agli anziani e ai più fragili è l’obiettivo della nostra professione e per questo produrremo e presenteremo alla nuova Commissione anziani del ministero, una proposta degli infermieri messa a punto dopo un confronto con tutti gli attori coinvolti nell’organizzazione dei servizi per l’età avanzata, con le associazioni che rappresentano gli assistiti delle RSA, con la parte datoriale che riguarda i nostri professionisti, con le Regioni e con i sindacati per gli aspetti contrattuali”.

“Un focus particolare sarà dedicato alle RSA che nella pandemia si sono dimostrate luoghi di fortissima criticità e per questo devono aumentare il livello di qualità e sicurezza dell’assistenza garantita ai cittadini e nel farlo bisogna rivedere anche le attuali condizioni lavorative de personale infermieristico”.

Così Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione delle professioni infermieristiche (FNOPI), sottolinea la volontà degli infermieri che già si occupano in prima linea dei fragili e degli anziani, di essere parte attiva nel cambiamento che il nuovo modello di sanità che si sta via via disegnando richiede.

RSA e Codice deontologico
“Nelle RSA – aggiunge la presidente FNOPI – vale con forza il principio del nostro Codice deontologico che il tempo di relazione è tempo di cura: con i pazienti, con i loro familiari, con i più fragili. In queste settimane si stanno moltiplicando gli allarmi di ‘fuga’ di infermieri da queste strutture e si stanno evidenziando tutte le difficoltà a cui si è andati incontro al loro interno durante la pandemia. Come Federazione – aggiunge – lanciamo un appello: in queste strutture non si facciano solo indagini epidemiologiche sugli effetti, ad esempio, della pandemia. Sono importantissime, fondamentali, ma si devono anche organizzare i servizi a tutti gli effetti e in piena regola, per dare agli assistiti e a chi li assiste la piena dignità di curare, assistere ed essere curati e assistiti, dovuta a ogni essere umano, dalla parte dei professionisti e dalla parte dei pazienti e delle loro famiglie. La proposta che gli infermieri e tutti gli attori dell’assistenza condivideranno e porteranno sul tavolo del ministro va in questo senso”.

I rischi della carenza
Gli infermieri tuttavia sono pochi e di questo risente l’assistenza: ne mancano 53mila in Italia – circa 9 milioni nel mondo secondo l’OMS che ha lanciato l’allarme – di cui 30mila sul territorio.

Di questi almeno 21mila dovrebbero essere gli infermieri di famiglia/comunità, indispensabili per l’assistenza, anche nelle RSA vista la loro caratteristica, appunto, di comunità. Una necessità riconosciuta dallo stesso decreto Rilancio che ha introdotto nel Ssn i primi 9.600.

Ne hanno bisogno le RSA, residenza sanitarie assistenziali, come ha dimostrato la pandemia: sono le comunità dei pazienti più anziani e fragili. Nelle rilevazioni legate alla pandemia, l’ISS ha dichiarato una mortalità da febbraio a maggio di quasi 9.200 assistiti, di cui oltre un terzo con sintomi o positività accertata a COVID-19. E dalle rilevazioni FNOPI oltre un terzo degli infermieri deceduti per il coronavirus operava in queste strutture, dove inizialmente erano carenti anche i dispositivi di protezione individuale. Ma gli infermieri non hanno lasciato solo nessuno anche nei momenti più bui della pandemia.

Quanti infermieri nelle RSA? I numeri dell’ISS
Gli infermieri sono indispensabili. Lo stesso Istituto superiore di Sanità nel suo ultimo report di agosto 2020 dispone che debba essere garantita, dove siano presenti ospiti COVID-19 sospetti o accertati  la presenza di infermieri 7 giorni su 7 e 24 ore al giorno e supporto medico, quello che eventualmente è attivato dagli stessi infermieri. E dalla rilevazione sempre dell’ISS fatta a giugno su queste strutture, è emerso che ci sono in media 2,5 medici, 8,5 infermieri e 31,7 OSS (operatori sociosanitari, che sono coordinati dagli infermieri) per struttura. Questo significa che nelle circa 3.400 RSA censite dall’ISS (convenzionate nell’80% dei casi) operano in media circa 29.700 infermieri, spesso però non strutturati e frequentemente anche volontari come lo sono stati i numerosi liberi professionisti intervenuti di loro iniziativa nelle RSA nei momenti peggiori della pandemia, dato questo che conferma la necessità di potenziare gli organici del territorio.

La rivalutazione della professione
In molti si sono dedicati a queste strutture, ma il concetto è: lavorare e basta?

“Chiediamo un percorso istituzionale e politico di confronto con gli stakeholder per formulare la proposta degli infermieri di riforma e riorganizzazione delle RSA”, prosegue la presidente FNOPI.

“Gli infermieri – aggiunge – guardano giustamente anche alla qualità e alle prospettive del loro percorso professionale, alla formazione, alla qualità dei loro contratti, alla loro sicurezza sul posto di lavoro e alla qualità dell’assistenza realmente garantita ai pazienti e sono pronti a contribuire con una proposta al ragionamento sulla riforma delle RSA avviata dal ministro Speranza”.

“I pazienti – aggiunge ancora – devono poter scegliere e aver garantito il percorso migliore: ora lo fanno anche gli infermieri. Lo possono fare grazie al riconoscimento del loro ruolo strategico per la garanzia della salute delle comunità e delle loro nuove competenze in continua evoluzione. È la normale evoluzione di una professione che cresce, si evolve e si innova, raccogliendo il riconoscimento di tutti a partire da cittadini e istituzioni. È questo lo scenario con cui dovranno confrontarsi molte RSA, lavorando su standard sempre più elevati e sul loro effettivo rispetto. Serve più presa su cittadini e professionisti lavorando sul loro livello di fiducia”.

I cinque punti cardine di un nuovo modello
E per questo la FNOPI mette sul tavolo del dibattito cinque punti cardine su cui articolare il nuovo modello:

Gli infermieri non lasciano solo nessuno e sono pronti ad assumere la responsabilità assistenziale in queste strutture: posseggono idonei titoli e qualificazioni, anche post lauream, quali master in management e coordinamento o laurea magistrale a indirizzo manageriale oltre che, naturalmente, i titoli per essere infermiere di famiglia/comunità.

L’infermiere – afferma la presidente FNOPI – assicura anche il buon andamento della struttura evitando eventuali carenze o atti impropri di altre figure all’interno delle strutture, ma dovrà essere supportato da un organico numericamente e professionalmente efficiente e da dotazioni all’altezza di un’assistenza degna di questo nome, altrimenti – conclude – c’è il rischio di peggiorare la situazione e di trasformare chi dovrebbe organizzare in un capro espiatorio di errori altrui”.

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