In Argentina l’utero delle donne è di proprietà dello Stato. Scontri e tensioni a Buenos Aires in seguito all’approvazione della legge ProLife, che vieta l’aborto gratuito e sicuro e incentiva di fatto gli aborti illegali e rischiosissimi.
In Argentina l’utero delle donne è di proprietà dello Stato. Scontri e tensioni a Buenos Aires in seguito all’approvazione della legge ProLife, che vieta l’aborto gratuito e sicuro e incentiva di fatto gli aborti illegali e rischiosissimi.
L’attuale legge approvata in queste ore risale ad un decreto del 1921, che permette alle donne di abortire solo in caso di stupro o grave pericolo di vita. La chiesa prende le difese delle creature in grembo materno che, come afferma l’arcivescovo di Buenos Aires Mario Poli, “si trovano in gestazione, in una strada senza uscita, senza possibilità di difendersi, senza giudizio né processo”.
Le organizzazioni della società civile stimano che ogni anno 500.000 aborti illegali vengono eseguiti nel paese senza alcun tipo di controllo e solo nel 2016 sono stati registrati nel 245 casi di mortalità materna, di cui 43 dovuti ad aborti spontanei.
Il disegno legge a favore dell’aborto e promosso da numerosi associazioni femministe e non, prevedeva che l’aborto potesse essere eseguito in qualsiasi ospedale o clinica pubblica o privata, senza costo per l’intervento, le medicine e le eventuali terapie.
La vittoria del no costituisce una sconfitta nei confronti del buon senso. Basti pensare che secondo il “Barómetro de la Deuda Social de la Infancia” a cura dell’Osservatorio del disagio sociale dell’Università cattolica argentina, solo nella città di Buenos Aires 7,6 milioni di bambini vivono in povertà; di questi 1 milione e 200 mila hanno difficoltà ad alimentarsi.
La giornalista argentina Mariana Carbajal si esprime in merito a quanto accaduto con grande carica e ottimismo, affermando quanto segue:
“Abbiamo vinto, perché le argomentazioni basate su convincimenti religiosi hanno rivelato le bugie di chi è contrario ai diritti. Abbiamo vinto, perché l’aborto ha smesso di essere un tabù ed è uscito allo scoperto, socialmente depenalizzato. Abbiamo vinto, perché madri e nonne hanno raccontato alle loro figlie e alle loro nipoti dei loro aborti, perché gli adolescenti hanno portato il dibattito nelle loro case e scuole. Abbiamo vinto, perché il mondo ci ha guardato e ha scoperto che in Argentina le donne non hanno ancora il diritto di decidere sui loro corpi e siamo stati vergognosamente additati come un paese in cui noi donne non godiamo ancora della piena cittadinanza.”
Anzichè disapprovare la libera scelta delle donne ad avere o meno figli che ancora devono nascere, perchè non occuparsi di tutelare i bambini già esistenti e in evidente difficoltà?
Il tema del diritto della donna ad abortire è delicato e costituisce la punta di un iceberg che si radica nelle storiche dinamiche di genere caratterizzate da squilibrio e disuguaglianza sociale.
La pretesa di poter decidere della fertilità e della capacità procreativa del genere femminile è dolorosamente preoccupante.
Il controllo sulla nascita implica un controllo sulla vita, non una tutela. Nelle vesti di un perbenismo peloso e irritante, il no all’aborto in centri urbani tutto sommato evoluti e civili come quello di Buenos Aires, mostra il lato oscuro di un approccio malsano a quella che dovrebbe essere una parità dei sessi di fronte sia alla legge che alla vita stessa. L’ipocrisia con cui si pretende di voler proteggere un feto, per poi metterlo al mondo in condizioni di vita disumane, dovrebbe indignarci tutti e tutte.