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Benetton: non solo maglioncini colorati, con un’attrazione irresistibile per autostrade e aeroporti

Chi era convinto che Benetton fosse soltanto camicette e maglioncini colorati si sbagliava di grosso. I confini del regno della famiglia trevigiana si estendono in tutto il mondo. Ristorazione, abbigliamento, areoporti, autostrade e molto altro.

Chi ancora pensa che i Benetton siano solo camicette e maglioncini colorati si sbaglia di grosso. Oggi molti sanno, purtroppo, che sono anche e soprattutto Autostrade, con un fatturato di 3 miliardi e mezzo l’anno e i pedaggi autostradali più cari d’Europa, decisi a piacimento dal Gruppo. Ma i confini del regno della famiglia trevigiana si estendono in tutto il mondo: ristorazione, abbigliamento, aeroporti, autostrade, edilizia, agricoltura, editoria e finanza. Un dato per tutti: il 50% della ristorazione degli aeroporti degli Stati Uniti fa capo al Gruppo di Ponzano Veneto.

Le origini del Benetton Group risalgono al 1965 quando i fratelli Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo fondano l’azienda tessile di abbigliamento. L’azienda si espande rapidamente anche grazie ad una campagna pubblicitaria accattivante, sbarazzina e provocatoria ed esporta i propri capi, grazie a un esteso franchising globale, nelle più grandi metropoli del mondo già negli anni ’80, da New York a Tokio.

Nel 1981 viene fondata la holding di gruppo Ragione di G. Benetton e C. s.n.c. , che attualmente risponde al nome di Edizione Srl e si configura come il grande salvadanaio familiare, con un giro d’affari di 12 miliardi di euro e facente capo, in percentuali variabili, ai seguenti gruppi: Autogrill, il cui presidente è Gilberto Benetton, Atlantia di cui detiene il 30,25 % di azioni (quasi la metà dei tratti autostradali italiani compresa l’A10 Genova-Savona), CAI ovvero Alitalia di cui possiede il 7,5%, Gemina società che gestisce gli scali di Ciampino e Fiumicino e che solo nel 2011 ha fatturato 613 milioni di euro, Maccarese S.p.A l’Azienda agricola più grande e nota d’Italia avente un’estensione di 3200 ettari appena fuori Roma, oltre a innumerevoli partners attivi nel mondo della finanza.

I fratelli Benetton sono, come si può facilmente dedurre, tra gli uomini più ricchi d’Italia.

Nel 1998 il Benetton Group acquista, nonostante l’evidente conflitto d’interessi in quanto proprietari di una quota dell’areoporto di Fiumicino, la tenuta agricola di Maccarese per un valore -tutto sommato modesto- di 93 miliardi di vecchie lire. La tenuta, a ridosso dell’area areoportuale è oggi 100% di proprietà dell’Edizioni Holding, riconosciuta come l’impresa agricola più grande d’Italia. La Maccarese produce foraggi, carni bovine (3000 capi di bestiame), latte (11 milioni di litri l’anno) soddisfacendo ben il 10% del fabbisogno di latte della capitale. Ma lo scopo occulto dell’acquisto sta nel raddoppio, che prima o poi s’ha da fare, dell’aeroporto di Fiumicino. In questo modo una parte cospicua (e costosa per lo Stato che dovrà espropriare) della tenuta di Maccarese verrà rivenduta dai Benetton Brothers allo Stato medesimo da cui l’avevano acquistata, con il solito guadagno da far impallidire Paperon de’ Paperoni.

Stando a un inchiesta del 2002 della Gabanelli per Report, le mucche della Maccarese per sostenere i frenetici ritmi di produzione richiesti, venivano munte 22 ore al giorno e nonostante avessero a disposizione centinaia di ettari di terreno da pascolare venivano tenute in gabbie per tutta la durata della loro misera esistenza. Chi ci dice che anche ora non sia così. Sempre secondo quest’inchiesta non solo gli animali venivano sovra sfruttati: i lavoratori all’interno dell’azienda sono poco più di una settantina, prevalentemente stranieri e con un salario massimo di 30 euro giornalieri.

Oltre a ciò la Maccarese commercializza vino, grappa e olio di oliva. Le Edizioni Holding possiedono, oltre alla Maccarese S.p.A, anche la Cirio Agricola e un’immensa tenuta di 900 mila ettari in Argentina attraverso la società Compania de Terras che fattura il 10% delle rendite annue del Benetton Group e controlla un’area avente un’estensione pari alla regione Umbria.

La proprietà argentina è stata a più riprese contestata dal popolo Mapuche che ha rivendicato il diritto di tornare alla propria terra scontrandosi pesantemente con i Benetton. Il conflitto venne “risolto” nel 2002 quando l’ultima famiglia di Mapuche, ridotta alla fame e con il permesso del governo argentino, tornò a stabilirsi nel proprio territorio ormai interamente controllato dai “Colori Uniti”, i quali in tutta risposta fecero sgomberare con forza la famiglia, citandola in giudizio. Nel 2004 il caso fu chiuso con la condanna della famiglia Mapuche.

Questo processo richiamò l’attenzione pubblica e destabilizzò l’immagine del gruppo di Ponzano Veneto: come potè Benetton, che si gloria di campagne pubblicitarie multirazziali, continuare a mantenere intatta la sua immagine mentre privava un gruppo di persone della loro terra, togliendo loro l’accesso all’acqua e ai trasporti nella sua/loro proprietà?  il film italo-argentino-inglese Colours At the End of The World, di Ale Corte, vincitore dell’EcoVision Film Festival 2009, per chi fosse interessato, racconta proprio questa triste storia. Ma non finisce qui.

Nel febbraio 2003, a ridosso della guerra in Iraq, fece scalpore la notizia apparsa su “ La Repubblica “, in base alla quale la nave italiana “Strada Gigante”, posseduta da una società di trasporti partecipata dalla famiglia Benetton, trasportava materiale bellico per conto dell’esercito britannico (“ La Repubblica “, 27 febbraio 2003). Buon viso a cattivo gioco, i fratelli veneti seminano terra bruciata ovunque passano, accumulando introiti.

In un Bollettino AGCM” (n. 46 del 29 novembre 2004) l’Edizione Hoding\Autostrade S.p.A è stata multata per irregolarità nelle gare d’appalto per le aree di ristoro. Venne favorita Autogrill, controllata in larga parte dai Benetton. La multa ammontò a 6,7 milioni di euro.

Dove potrà mai tenere tutti questi soldi la milionaria azienda? La risposta è ovvia: paradisi fiscali. Da Lussemburgo alla Corea del Sud, all’Isola di Man in Inghilterra. La stessa Tribuna di Treviso in un articolo dell’1 febbraio 2011 riporta la notizia della “stangata” da 2,7 milioni di euro di multa alla Benetton proprio per evasione fiscale. Spiccioli se paragonati all’immenso impero monetario posseduto dai fratelli dei colori uniti. Indicibili somme di denaro a fronte di responsabilità sociali e civili nulle.

Nel nostro paese la rete autostradale sta a Benetton come l’albero della cuccagna sta al gatto e alla volpe. A fronte di una bassa qualità delle strutture, una scarsa, scarsissima manutenzione, un elevatissima quantità di traffico su gomme, la rendita del gruppo autostradale solo in riferimento all’anno 2017 ha raggiunto quota 50% (su 3,9 miliardi di ricavi il margine lordo è stato di 2,4 miliardi ). Il sistema autostradale italiano è in assoluto il più frammentato d’Europa, gestito da lobby private di concessionari autostradali e dai costruttori che spesso sono loro emanazione.

Sebbene i pedaggi siano in continuo aumento, l’occupazione del settore è in costante calo, tant’è che tutti ci siamo resi conto della scomparsa dei casellanti sostituiti da macchine robotiche. Ma almeno in quest’ambito possiamo affermare che il Benetton Group, pur avendo enormi responsabilità, non è il solo ad essere colpevole. Una politica di privatizzazione e svendita dei settori pubblici su larga scala e su molteplici fronti, come quella italiana, fa sì’ che si generino simili conflitti e controversie. Da anni lo Stato privatizza le aziende, le quali da private cominciano a guadagnare perdendo interesse per la tutela del bene pubblico, operando a rischio zero con in cambio enormi rendite.

Ma le istituzioni dove sono? Perchè non si attuano punizioni severe e rigidi controlli?

La risposta è semplice: sia le concessioni (più che altro cessioni vere e proprie, vista la durata spesso pluridecennale) che gli appalti derivano, a vari livelli, da “vicinanza” politica. Che interesse avrebbero i politici che -per pura simpatia, per carità- hanno assicurato a gruppi come quello in questione proventi colossali, a mettere in discussione, con una commissione d’inchiesta parlamentare, sia pure pilotata, o, peggio, con denunce di inadempienza o passaggi di carte alle Procure, una spontanea, umana simpatia scaturita dal cuore? Che ha gli stessi colori arcobaleno, guarda caso, delle campagne pubblicitarie ideate da Oliviero Toscani?

 

 

 

 

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