Per “omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica”, è la motivazione dei giudici. Lo Stato quindi ora dovrà pagare 265 milioni di euro. Anche se forse non basteranno…
Il provvedimento nei confronti dei dicasteri di Difesa e Trasporti: “Omessa attività di controllo e sorveglianza della situazione”.
Per “omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica”, il ministero della Difesa e quello dei Trasporti devono risarcire Itavia.
Così ha deciso la Cassazione, che tra qualche mese stabilirà se basterà un risarcimento di 265 milioni di euro. La compagnia aerea è fallita dopo l’abbattimento del suo Dc9, caduto in mare il 27 giugno 1980.
Con la sentenza depositata oggi, le sezioni unite civili hanno bocciato il ricorso dei due dicasteri nel punto in cui contestavano il risarcimento accordato a Itavia: “La sentenza della Corte d’appello, ricostruiti i dati disponibili, ha innanzitutto valutato quale sia l’ipotesi della causa del sinistro che riceve il supporto relativamente maggiore, individuandola nell’esplosione esterna dovuta a missile lanciato da altro aereo – scrive la Cassazione – e ha poi rilevato che la responsabilità dei ministeri convenuti deriva dall’omessa attività di controllo e sorveglianza della complessa e pericolosa situazione venutasi a creare nei cieli di Ustica, imposta da specifiche norme e non esclusa da fattori eccezioni o imprevedibili, che ha reso possibile la penetrazione nello spazio aereo italiano e l’occupazione dell’aerovia assegnata a Itavia da parte di aeromobili da guerra non autorizzati e non identificati, senza che fossero adottate misure idonee per evitare l’evento“. Se i ministeri “avessero adottato le condotte loro imposte dagli specifici obblighi di legge, l’evento non si sarebbe verificato“, osserva la Corte, poiché “attraverso un’adeguata sorveglianza della situazione dei cieli sarebbe stato possibile percepire la presenza di altri aerei lungo la rotta del Dc9 e, quindi, adottare misure idonee a prevenire l’incidente, ad esempio non autorizzando il decollo, assegnando altra rotta, avvertendo il pilota della necessità di cambiare rotta o di atterrare onde sottrarsi ai pericoli connessi alla presenza di aerei militari o, infine, intercettando l’aereo ostile con aerei militari italiani“.
Sull’entità dei risarcimenti a Itavia per il disastro aereo, nel quale persero la vita 81 persone, dovrà ora pronunciarsi in via definitiva la terza sezione civile della Cassazione, che aveva trasmesso gli atti alle sezioni unite affinché dirimessero un contrasto di giurisprudenza sollevato dalla compagnia aerea nel suo ricorso incidentale. La Corte d’appello di Roma, infatti, aveva escluso il diritto di Itavia a vedersi risarcito il danno per la perdita dell’aeromobile, perché la società aveva già incassato un indennizzo assicurativo, e il danno conseguente alla revoca delle concessioni di volo.
Le sezioni unite hanno sancito che “il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall’ammontare del danno risarcibile l’importo dell’indennita’ assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto” e, quindi, “correttamente” i giudici d’appello hanno “escluso” che Itavia, che “nel 1980 è stata integralmente tacitata dal proprio assicuratore, avendo incassato da Assitalia, per la perdita dell’aeromobile, un’indennità assicurativa di 3 miliardi e 800 milioni di vecchie lire, importo superiore al valore corrente dell’aeromobile al momento del disastro” possa poi “cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di indennità assicurativa con l’ammontare del risarcimento dovuto dai terzi responsabili“. Infatti, conclude la Cassazione, “una volta che abbia riscosso l’indennizzo dal proprio assicuratore, il danneggiato non può agire contro il responsabile se non per la differenza, non essendovi spazio per una doppia liquidazione a fronte di un pregiudizio identico“.