Due sono le ipotesi che possono spiegare perché proprio l’Italia sia oggi al terzo posto nella classifica mondiale dei contagi da coronavirus, con centinaia di casi, mentre nel resto d’Europa si parla al massimo di poche unità, pur essendo stati noi i primi a prendere le misure apparentemente più drastiche, a partire dall’immediata chiusura dei voli da e per la Cina. La prima ipotesi è quella ora dichiarata, ora lasciata intendere o fatta filtrare dai membri del governo e dai partiti della maggioranza, e cioè che noi, rispetto agli altri, faremmo maggiori e migliori controlli, scoprendo e comunicando pubblicamente, in casa nostra, quello che gli altri, in casa propria, preferirebbero ignorare, ridimensionare o nascondere. In altre parole, la differenza tra l’Italia e, poniamo, la Francia, la Germania o la Svezia consisterebbe nel fatto che da noi il governo, i professionisti del settore e forse anche la società nel suo complesso – perlomeno per quanto riguarda la tutela della salute – sarebbero molto, ma molto più rigorosi, più trasparenti e più efficienti. Se questa spiegazione vi convince, potete smettere di leggere qui.
Per tutti gli altri, c’è la seconda ipotesi. E cioè che in Italia vi sia stato, per usare un eufemismo, un eccesso di zelo. A sostegno della teoria secondo cui saremmo più bravi degli altri si può forse contare il fatto che ieri il ministro della Salute tedesco ha detto che il quadro è cambiato e anche la Germania deve prepararsi a fronteggiare un’epidemia. A favore dell’altra ipotesi, quella di un nostro eccesso di zelo, sta invece la scelta del governo italiano di sottoporre al test del tampone i soli «sintomatici» (come già facevano in altri paesi), invece che tutti quanti (come abbiamo fatto noi finora, con gli ovvi effetti sul totale).
Di sicuro, in Italia c’è stata prima l’irresponsabile corsa al conteggio persino dei casi «sospetti» (un vizietto, questo di sparare titoli e servizi su semplici sospetti, che purtroppo i nostri mezzi di comunicazione non riservano solo ai casi clinici); poi la scelta di assumere decisioni diverse e apparentemente più drastiche di quelle di tutti gli altri paesi europei, annunciandole in una conferenza stampa convocata a tambur battente a Palazzo Chigi, alla notizia dei primi due contagiati (veri) trovati nel nostro paese; infine l’incredibile spettacolo dei bisticci tra Regioni, Comuni e governo, culminati due giorni fa nella scena surreale della conferenza stampa del presidente della Regione Marche che annuncia la chiusura delle scuole, poi si alza per rispondere al telefono al presidente del Consiglio, quindi torna indietro dicendo che siccome glielo ha chiesto lui per il momento non chiude niente, in vista della riunione di coordinamento con il governo del giorno dopo, cioè ieri, al termine della quale ri-annuncia che chiude tutto, perché a suo dire il governo non coordina niente (con il governo che gli dà dell’irresponsabile).
L’insieme di queste scelte, il tempismo e il modo in cui sono state comunicate ha contribuito a fare dell’Italia la Cina d’Europa, con effetti potenzialmente molto pesanti non solo sull’economia, ma sulla stessa capacità di gestione dell’emergenza (che forse non era tale, o non lo era ancora). Un danno a cui potrebbe unirsi anche la beffa, semmai l’epidemia dovesse scoppiare tale e quale anche in altri paesi, avendo ormai preso noi la non invidiabile bandiera del “paese infetto”.
E così torniamo alla domanda iniziale: perché proprio in Italia? Se vale la prima ipotesi, e la risposta è sostanzialmente che siamo più bravi degli altri, non c’è dubbio che nei prossimi giorni, se non altro, raccoglieremo i frutti di tanta previdenza, e quando le cicale francesi, tedesche o svedesi dovranno correre affannosamente ai ripari, facendo tardivamente quello che qui abbiamo fatto per tempo, noi formichine italiane potremo riprendere fiato. Se vale la seconda ipotesi, quella dell’eccesso di zelo, resterebbe invece da capire il perché di un simile comportamento.
Personalmente, suggerirei di buttare un occhio al sistema di incentivi perversi che regola di fatto il funzionamento della politica italiana da qualche mese in qua. Abbiamo un governo populista (o perlomeno a guida populista), incalzato da un’opposizione populista e da un sistema dell’informazione, stampata e televisiva, ancora più populista. Il che vuol dire che le uniche contestazioni che possono arrivare al governo sono di carattere – indovinate un po’? – populista: avere nascosto le informazioni, non avere preso misure sufficientemente drastiche per tutelare chissà quali loschi interessi invece della salute dei cittadini, e via elencando. A conferma della tesi, e nonostante il governo abbia preso tutte le misure possibili, le uniche contestazioni sono state più o meno di questo genere. Ben pochi, almeno finora, hanno accusato il governo di esagerare – di fare cioè del populismo – per la semplice ragione che tutti gli altri, oppositori e osservatori, erano già impegnati a fare altrettanto.
Dunque, dal punto di vista del governo, l’alternativa era semplicissima: tenere una linea di ragionevole prudenza, allineata al resto dell’Europa e ai dettami dell’Oms, esponendosi al rischio di una campagna martellante, per ogni singola vittima, da parte di oppositori e media ostili; oppure scegliere la linea più drastica, anche a rischio di scatenare effetti totalmente controproducenti, sapendo però che in questo caso nessuno, né tra gli oppositori né tra i giornalisti, sarebbe stato nella posizione di rimproverarglielo.
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