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Sergio Mattarella (Afp)
Sergio Mattarella ha concesso la grazia a Franco Dri, Giancarlo Vergelli e Vitangelo Brini, tre uomini che hanno ucciso moglie o figli, ma per pietà o disperazione.
Vergelli, 88 anni, era stato condannato nel 2016 a 7 anni e 8 mesi per aver ucciso la moglie 88enne malata di Alzheimer. L’omicidio era avvenuto il 22 marzo 2014 nella loro casa, a Firenze. Vergelli strangolò la moglie con una sciarpa e le rimase accanto per circa un’ora. Poi andò a costituirsi dicendo alla polizia “Non ce la faccio più” e spiegando di non reggere a un repentino aggravamento della malattia della moglie.
Storia simile quella di Brini, 89 anni. Ex vigile urbano in pensione, l’uomo era stato condannato a 6 anni e 6 mesi per l’omicidio della moglie malata di Alzheimer, venuto nel 2007. A lungo Vitangelo aveva assistito in casa la moglie Mara Tani malata da 12 anni di Alzheimer. Poi diventò necessario ricoverarla in una struttura sanitaria, a Prato. Le condizioni della donna peggiorarono sempre di più, così come le sue sofferenze. E così Brini prese una pistola dalla sua collezione di armi e la raggiunse nel reparto di degenza uccidendola con tre colpi.
Diverso il caso di Franco Dri, 79 anni, condannato a 4 anni. Per lui la richiesta di grazia era arrivata al Quirinale col sostegno di mille firme di cittadini di Fiume Veneto in testa alle quali stava quella della moglie Annalisa Morello. L’uomo, nel 2015, al termine di una lite, aveva sparato un colpo al cuore del figlio, Federico di 47 anni, tossicodipendente senza speranza.
Gli altri graziati da Mattarella
Dal 2015 Mattarella ha concesso la grazia a 15 persone colpevoli di reati comuni, perlopiù omicidi dettati dalla disperazione. Eccone alcuni:
Gastone Ovi, 87 anni, fiorentino. Nel febbraio del 2012, ricorda il Corriere, Gastone, uomo mite, volontario nelle ambulanze, soffocò con un cuscino la moglie Ester, la parrucchiera più famosa del quartiere, divorata dall’Alzheimer, dopo un matrimonio durato più di 50 anni e un lavoro comune nel negozio della donna. Non confessò subito quel delitto. Poi crollò. Al pm raccontò gli ultimi anni accanto “all’amore della sua vita”. Disse che non usciva di casa per cercare di far mangiare Ester, riuscendo appena a farle bere un po’ di latte.
Raccontò che l’ultimo giorno aveva tentato di calmarla durante le continue crisi, che l’aveva soccorsa faticosamente dopo due cadute dal letto. E che, disperato, aveva telefonato al medico di famiglia. “Chiama l’ambulanza” gli aveva risposto il dottore. Infine aveva “iniziato piano piano a perdere la testa perché così non era più una vita, né per lui né per la moglie”. E non si poteva continuare più a sopravvivere in quell’inferno.
Nel 2017 la grazia fu concessa a Livio Bearzi, dirigente scolastico friulano che fu preside del convitto aquilano “Domenico Cutugno”, travolto dal terremoto e spezzò la vita di tre studenti che vi alloggiavano. Bearzi era da pochi mesi a dirigere l’istituto. Ma tanto bastò per condannarlo in via definitiva dalla Corte di Cassazione a 4 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per omicidio colposo plurimo e lesioni personali.
Numerosi gli attestati di stima, dalla regione del Friuli agli studenti aquilani, a fronte di una condanna che appariva sorprendente, soprattutto se paragonata a scandali che hanno caratterizzato la gestione del prima e dopo-terremoto. Il dirigente fu ritenuto colpevole per la mancata ristrutturazione dell’ottocentesco edificio del Convitto e l’assenza di un piano sicurezza.
Fabrizio Spreafico. Nel 1997, a 23 anni, Spreafico uccise la madre strangolandola durante l’ennesimo litigio nella loro abitazione nel milanese. Condannato a 18 anni e 4 mesi di reclusione, Spreafico, gravemente malato dal 2005, ha ricevuto la grazia per motivi umanitari da Mattarella. L’omicidio avvenne la sera del 16 settembre 1997 a Trezzano sul Naviglio, nel milanese. La donna, rimasta vedova da due anni, venne strangolata con un filo dell’elettricità dal figlio, allora idraulico, e con cui i litigi erano continui.
Spreafico, confessò quasi subito. Il movente, stando alle indagini, era di natura economica. La signora aveva ottenuto un mutuo di 80 milioni di lire da una banca locale, ipotecando il loro appartamento. I soldi dovevano servire al figlio per aprire un’attività commerciale: il giovane stava appunto per dare l’esame per ottenere la licenza di esercente come idraulico. Ma, col passare del tempo, e forse per necessità familiari, i soldi cominciavano a diminuire. Da qui i frequenti litigi tra mamma e figlio, che si accusavano reciprocamente di avere fatto delle spese in modo irresponsabile. La sera del delitto l’ennesimo bisticcio tra i due.
Nel 2015 Mattarella firmò tre decreti di grazia. Due riguardano Betnie Medero e Robert Seldon Lady, gli ex agenti della Cia coinvolti nel sequestro dell’imam Abu Omar. I due – ricorda la nota del Quirinale – sono stati condannati, in concorso tra loro e con altre ventiquattro persone, per il reato di sequestro di persona, avvenuto a Milano nel febbraio del 2003.
La grazia per i due americani, spiega Repubblica, è più che altro un gesto simbolico: nel processo sul sequestro di Abu Omar, infatti, erano stati condannati solo i cittadini americani poiché gli italiani si erano potuti avvalere del segreto di Stato concesso dai governi italiani. Inoltre, nessuno dei cittadini americani condannati per il sequestro, in totale 26, si trova attualmente nel nostro Paese, avendo tutti già da tempo raggiunto gli Stati Uniti.
Per Romani, il decreto concede la grazia totale della pena ancora da espiare, relativa alla condanna ad anni trenta di reclusione, inflittagli dopo il riconoscimento, da parte della Corte di appello, della sentenza thailandese di condanna alla pena di quaranta anni di reclusione (ridotti a trenta in Italia), per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti. L’esecuzione della pena è in corso dal 17 aprile 2008, dapprima in Thailandia e dall’agosto 2014 in Italia.
Come funziona il potere di grazia
Come si legge sul sito del Quirinale, l’art. 87 della Costituzione prevede, al comma undicesimo, che il Presidente della Repubblica può, con proprio decreto, concedere grazia e commutare le pene. Si tratta di un istituto clemenziale di antichissima origine che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con la sentenza irrevocabile o la trasforma in un’altra specie di pena prevista dalla legge (ad esempio la reclusione temporanea al posto dell’ergastolo o la multa al posto della reclusione).
Il procedimento di concessione della grazia è disciplinato dall’art. 681 del codice di procedura penale. La domanda di grazia è diretta al Presidente della Repubblica e va presentata al Ministro della Giustizia. È sottoscritta dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore, oppure da un avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. Il presidente del consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli.
Sulla domanda o sulla proposta di grazia esprime il proprio parere il Procuratore generale presso la Corte di Appello e, se il condannato è detenuto – anche presso il domicilio – ovvero affidato in prova al servizio sociale, il Magistrato di sorveglianza. Acquisiti i pareri, il Ministro trasmette la domanda al Capo dello Stato compete la decisione finale. Se il Presidente della Repubblica concede la grazia, il pubblico ministero competente ne cura l’esecuzione, ordinando, se del caso, la liberazione del condannato.
Le grazie degli altri presidenti
Giorgio Napolitano è il presidente della Repubblica che ha concesso meno grazie durante il suo mandato. Nella classifica, infatti, il presidente della Repubblica dimissionario è ultimo per numero di grazie concesse: 23 nel primo settennato e neppure una dopo la rielezione. Secondo il sito Il Dubbio, considerando che le richieste giudicate ammissibili sono state oltre 1.800, si tratta dell’ 1,3 per cento. L’ultima grazia concessa da Napolitano – la penultima è stata concessa ad Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale – è spettata a Joseph Romano, colonnello dell’Air Force One, condannato nel 2012 nell’ambito della vicenda del rapimento dell’ex imam di Milano Abu Omar.
Tutt’altra storia rispetto agli oltre 15mila atti di clemenza di Luigi Einaudi, in un’Italia segnata dalla violenza e dalla criminalità anche come conseguenza della dilagante povertà figlia della guerra. Fra i beneficiati, sebbene con suo profondo rammarico, ci furono anche numerosi collaborazionisti: quelli maggiormente responsabili erano riusciti a evitare le conseguenze dell’epurazione grazie all’amnistia di Togliatti e a Einaudi, come spiegò lui stesso, non sembrava giusto che alla fine gli unici a pagare fossero quelli meno coinvolti.
Giovanni Gronchi ne concesse 7.423, Antonio Segni/ Cesare Merzagora 926, Giuseppe Saragat 2.925, Giovanni Leone 7.498, Sandro Pertini 6.095 e Francesco Cossiga 1.395. Dal presidente Oscar Luigi Scalfaro in poi, il numero della concessione della grazia è sceso vertiginosamente. Quest’ultimo concesse 339 grazie, a seguire Carlo Azeglio Ciampi con 114, fino ad arrivare a Napolitano con 23. Con Scalfaro siamo nel periodo di Tangentopoli e le stragi mafiose: da allora ci fu un inasprimento delle pene, il ripristino della carcerazione dura con il 41 bis e fu modificato l’articolo della Costituzione riguardante l’amnistia.
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