Gigi Radice è stato un grande del nostro calcio. E’ facile ricordarlo ora. In realtà, era anche un grande dimenticato, da troppo tempo. Come spesso avviene in questi anni dove si tende purtroppo spesso a dimenticare i grandi
In tanti si vantano di aver rivoluzionato o cambiato il calcio, ma in pochissimi l’hanno fatto, Gigi Radice era tra questi. A differenza di altri grandi allenatori, tipo Sacchi, che si sono autoproclamati portatori di un nuovo verbo o di tecnici che la stampa ha celebrato o celebra col suffisso –ismo, moda recentissima, dopo il loro nome o soprannome, Radice non ha mai parlato di sé, ha fatto parlare il campo. Non avrete mai sentito parlare di Radicismo, provate però a chiedere chi era Radice ai suoi giocatori o ai tifosi delle squadre dove ha allenato.
Provate a parlare coi tifosi del Torino che nel 1976 grazie a lui riassaporarono la gioia di uno scudetto dopo la tragedia di Superga. Radice portò la rivoluzione del calcio olandese in Italia, ma non si limitò, da amante e studioso di calcio, a cercare di ripetere il gioco degli orange. Il calcio di Radice era un cocktail di modernità e tradizione. Per capire questo, però, bisogna ricordare dove era cresciuto calcisticamente Radice, a quali fonti si abbeverò e dove originò il suo calcio. Da ragazzino giocava nelle giovanili del Milan, avendo come compagni di viaggi altri futuri allenatori: Trapattoni, Bagnoli e Marchioro. Erano anni che le squadre pescavano i ragazzi nelle periferie e non in giro per il mondo. Trapattoni veniva da Cusano Milanino, Bagnoli dalla Bovisa, Marchioro da Affori e Radice da Cesano Maderno. Tutti e quattro milanesissimi. In quella squadra diventò amico di Trapattoni e di Bagnoli. I tre, qualche decennio dopo, si sarebbero trovati a giocarsi scudetti da allenatori.
Da giocatore Radice era un gran bel difensore che con la maglia del Milan vinse tre scudetti e una coppa campioni. Era un grande Milan, uno dei più forti di sempre, forse anche più forte di quello degli anni berlusconiani. Il giovane Gigi si affacciò in prima squadra nel 1956/57, vincendo il suo primo scudetto e avendo come maestri monumenti del pallone: Liedholm, Schiaffino e Gipo Viani in panchina. Nel 1961/62 arrivò per Gigi il terzo scudetto, questa volta da titolare, con compagni come Rivera, Dino Sani, Cesare Maldini, Trapattoni Altafini e Nereo Rocco in panchina. Così, a nemmeno 30 anni, Radice aveva già conosciuto una buona parte della storia del calcio. Gigi non solo giocava, ma osservava e annotava, forse già sapeva che la sua carriera da giocatore sarebbe stata breve. Infatti, poco dopo, la rottura del legamento crociato del ginocchio, terribile per quei tempi, pose fine alla sua carriera sul campo e diede inizio a quella in panchina. Nel suo database di giovane allenatore erano già inseriti gli insegnamenti di Liedholm, Schiaffino, Dino Sani, Rivera (compagni di squadra) e Gipo Viani e Nereo Rocco (suoi allenatori). Gigi, pur se giovanissimo era già una Treccani del calcio. Se a questo aggiungiamo la sua insaziabile fame di sapere e di aggiornarsi, capiremo com’è nato il Radice allenatore. Così, quando il mondo del pallone, fu invaso dalla rivoluzione olandese e dall’atletismo delle squadre inglesi che iniziavano a vincere in Europa, Gigi non si fece trovare impreparato e creò il suo personalissimo calcio, fatto di pressing asfissiante (una novità per quegli anni) ma non rinunciando all’uso del libero e delle marcature a uomo in difesa. Radice fu rivoluzionario anche nell’uso degli attaccanti, con lui Ciccio Graziani, pur segnando tanto, diventò generosissimo, svariando su tutto il fronte offensivo e rientrando spesso in difesa. Il calcio di Gigi non era solo atletismo e furia agonistica, entrambi erano al servizio della classe. Così nel Torino campione d’Italia Patrizio Sala correva senza sosta e Claudio Sala, il poeta del gol, declamava calcio.
Gli anni di Torino rimarranno certamente i più belli con uno scudetto storico e due secondi posti in periodi diversi, il primo con 50 punti dietro la Juventus a 51, record per campionati a 16 squadre, il secondo alle spalle del suo amico Osvaldo Bagnoli, che portò il Verona sulla vetta d’Italia. Dovunque è andato Radice ha lasciato un segno, facendosi amare dai tifosi. A Bologna, dove salvò la squadra penalizzata, a Firenze dove lanciò Batistuta, che l’allenatore precedente (il brasiliano Lazaroni) stava trasformando in oggetto misterioso, a Cesena e a Roma sponda giallorossa. Non andava d’accordo con i presidenti perché era uomo che non scendeva a compromessi e forse per le sue idee politiche, era dichiaratamente di sinistra.
Gigi Radice ha dato tanto al nostro calcio, dal quale non ha ricevuto altrettanto. Forse era troppo avanti con i tempi. In ogni caso, nell’ideale galleria dei grandi del pallone un posto gli spetta di diritto.
Foto sotto: un giovane Radice ai tempi del Monza (Il Giorno)