Alessandro Fotia
Le macerie dell’hotel Rigopiano
Poco prima delle 17 del 18 gennaio 2017 una valanga di neve e detriti si staccò dal Monte Siella e travolse l’hotel Rigopiano di Farindola. Morirono 29 persone. La valanga, una massa di neve e ghiaccio del peso di 120.000 tonnellate, colpì il resort di lusso con una violenza pari a quattromila tir a pieno carico.
In quel momento erano presenti 40 persone: 28 ospiti, tra cui 4 bambini, e 12 dipendenti, che erano isolati perché la strada provinciale dall’hotel al bivio Mirri, lunga 9,3 chilometri, era “impercorribile per ingombro neve – si legge nelle carte dell’inchiesta – di fatto rendendo impossibile allontanarsi”.
Le richieste di aiuto rimaste inascoltate
Erano i giorni della grande emergenza neve e mezzo Abruzzo era in ginocchio. La mattina del 18 gennaio si erano verificate anche quattro scosse di terremoto, di magnitudo 5.1, con epicentro nell’Aquilano, che avevano fatto tremare tutto il centro Italia. Gli ospiti del resort erano terrorizzati e volevamo andare via.
Rigopiano
Poche ore prima della tragedia l’amministratore dell’hotel inviò una mail alle autorità: “La situazione è davvero preoccupante” disse. Ci furono anche altre richieste d’aiuto: Gabriele D’Angelo, cameriere dell’Hotel, poi morto nel disastro, quella mattina fece delle telefonate per chiedere l’evacuazione del resort. E ancora: la sorella di Roberto Del Rosso, proprietario dell’Hotel, andò personalmente in Provincia a chiedere aiuto. Richieste rimaste senza risposta, con gli ospiti dell’albergo bloccati dalla neve e in attesa dalle 15 di quel tragico pomeriggio di uno spazzaneve che non arrivò mai.
L’inchiesta sul disastro
La Procura di Pescara, che il 26 novembre scorso ha chiuso l’inchiesta su Rigopiano, non ha dubbi: negligenza, imperizia e imprudenza, a tutti i livelli istituzionali, causarono la tragedia. Gli indagati sono 25 e sono accusati, a vario titolo, di disastro colposo, lesioni plurime colpose, omicidio plurimo colposo, falso ideologico, abuso edilizio, omissione di atti d’ufficio, abuso di atti d’ufficio. L’inchiesta del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia chiama in causa Regione Abruzzo, Prefettura, Provincia di Pescara, Comune di Farindola.
Rigopiano
Tra gli indagati figurano l’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo, il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco e alcuni dirigenti della Regione. Sono invece 18 le richieste di archiviazione: si tratta per la maggior parte di politici delle ultime tre giunte regionali coinvolti nel corso delle indagini.
Tra questi politici ci sono i tre ex governatori abruzzesi Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi. I familiari delle vittime si sono però opposti alle richieste di archiviazione e l’ultima parola spetterà al gip.
Il depistaggio sulle richieste di soccorso
La Procura ha aperto un’inchiesta bis su Rigopiano ipotizzando i reati di frode in processo penale e depistaggio a carico di sette persone, che all’epoca dei fatti lavoravano in Prefettura. Tra loro ci sono anche l’ex prefetto Provolo e Daniela Acquaviva, la funzionaria salita alla ribalta delle cronache perché nella telefonata del ristoratore Quintino Marcella – che per primo la sera della tragedia lanciò l’allarme – disse la frase “la madre degli imbecilli è sempre incinta”.
L’accusa alla base di questa seconda inchiesta è quella di aver occultato il brogliaccio delle segnalazioni del 18 gennaio 2017 alla squadra Mobile di Pescara per nascondere la chiamata di soccorso fatta alle 11.38 dal cameriere Gabriele D’Angelo, una delle 29 vittime, al Centro coordinamento soccorsi. Richieste di aiuto, secondo l’avvocato Emanuela Rosa, legale della famiglia D’Angelo, che “qualora ascoltate, avrebbero potuto cambiare l’esito degli eventi”.
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